Dai prati delle Piane 1517 m si costeggiano, verso Sud, i fianchi boscosi del Doss Bilii, seguendo uno stretto corridoio tra gli abeti. Alcune vallecole anticipano le ampie radure dell'Alpe Armisola 1629 m. Perdendo leggermente quota si scende ad attraversare un ponticello sul torrente per poi superare le baite dell'alpeggio, in direzione della cascata ghiacciata che chiude la vallata. Molto prima di trovarsi davanti al ghiaccio vivo bisogna volgere a sinistra, rimontando un pendio caratterizzato da grossi massi che a Voi, probabilmente, appariranno come forme arrotondate emergenti dalla neve. Guadagnata sufficientemente quota, con un traverso verso Sud si raggiunge la baita di Piateda di sotto 1796 m.
Il tratto successivo, che supera alcuni dossi, è da valutare attentamente in relazione alle condizioni di stabilità del manto nevoso. Individuando i passaggi migliori si vince l'alternarsi di ripide costole e vallette sovrastanti, fino a quando l'inclinazione del pendio si stempera in ampie distese dalle linee dolci.
Lasciando, a sinistra, l'intaglio della Bocchetta di S. Stefano 2378 m, valico in comunicazione con la Val d'Arigna, si prosegue verso meridione, percorrendo un suggestivo tratto di vallata pianeggiante dominato dall'elegante Punta di Santo Stefano. Alla base del versante occidentale di questa montagna il pendio subisce una brusca impennata, dov'è importante individuare una traccia sicura. Generalmente si compie una serie di stretti dietro-front a ridosso e a sinistra della fascia rocciosa che divide il profondo canalino di fondovalle dagli ampi pendii di sinistra, esposti a eventuali scaricamenti di neve dall'alto. Appena possibile, in traversata, si guadagna l'anfiteatro sommitale, dominato dalla vetta del Rodes. Sfiorata la Bocchetta di Reguzzo 2621 m, si descrive un ampio semicerchio verso destra fino a portarsi in una conca. Ancora a destra (Ovest), evitando il ripidissimo scivolo nord, si rimonta un più breve pendio che adduce alla spalla settentrionale della montagna.
Spesso con gli sci ai piedi, circondati da un ambiente spettacolare, si percorre l'ampio crinale fino alla vetta del Pizzo di Rodes 2829 m. Meraviglioso il panorama in tutte le direzioni e, in particolare, sui vicini giganti delle Orobie: il Pizzo di Coca, lo Scais e il Pizzo Redorta, quest'ultimo meta di un'altra superlativa sci alpinistica da noi già descritta!
Il Pizzo di Rodes è una delle più importanti cime che svettano a settentrione della catena principale orobica. Considerata la sua posizione leggermente spostata a Nord, rispetto alla linea spartiacque delle Alpi Orobie e affacciata direttamente sul fondovalle valtellinese, questa montagna è un vero e proprio punto d'osservazione strategico sul vasto comprensorio montuoso che racchiude la media Valtellina. Verso Nord-ovest, oltre l'ampio solco della Valtellina, appare imponente e isolata la bella sagoma del Monte Disgrazia alla cui destra sfilano i gruppi del Bernina e dello Scalino.
Verso Sud, più vicine a noi, si stagliano le vette della sezione più elevata della catena orobica, dal Pizzo di Coca al Pizzo del Diavolo di Tenda. Dagli oltre 2800 metri della vetta, si può quindi ammirare un paesaggio ricco e interessante in ogni direzione; ma, forse, quello che lo rende ancor più particolare è la sensazione di essere quasi sospesi, come in volo, sulla sottostante Valtellina.
Se quello appena accennato è forse l'aspetto più caratteristico della "nostra" cima, dobbiamo ricordare che la salita al Rodes è un'importante e ambita meta sci alpinistica anche per altre caratteristiche. Innanzi tutto chi si cimenta in quest'ascesa troverà, quasi sempre, una buona qualità della neve, garantita dalla esposizione prevalentemente rivolta ai quadranti settentrionali. Il percorso di salita è assai vario e divertente, mai monotono: dal fitto bosco d'abeti alla torbiera, dal ripido pendio all'ampio vallone sommitale, l'occhio non potrà stancarsi di esplorare sempre nuovi terreni. Ne trae giovamento anche il passo dello sciatore che sarà in certo qual modo stimolato alla ricerca di queste sempre nuove vedute e situazioni. La possibilità di compiere anche alcune varianti di percorso non fa che aumentare il piacere della salita che trova la sua apoteosi nel raggiungimento della panoramica cima e nella successiva fantastica scivolata verso valle. Complice la qualità della neve, lo sciatore alpinista non potrà che restare entusiasta di questi pendii ampi, dalle linee generose, dove ognuno ha spazio per lasciare la propria firma.
Si può affermare, per certo, che l'ascensione invernale al Pizzo di Rodes è una gita di lunga tradizione. La prima salita nella stagione fredda risale addirittura al 1894 e, più precisamente, al 30 dicembre di quell'anno. I protagonisti dell'impresa sono gli stessi che in quegli anni risolsero innumerevoli problemi alpinistici nelle Alpi centrali e sulle Orobie: il professor Bruno Galli Valerio e la guida alpina di Agneda Giovanni Bonomi. La salita ha quel sapore genuino che è difficile ritrovare nelle prestazioni alpinistiche moderne, tecnicamente ben più difficili ma quasi del tutto prive dello spirito avventuroso che caratterizzò l'alpinismo pionieristico.
Per conoscere i particolari di questa prima invernale possiamo avvalerci della testimonianza scritta del Galli Valerio, apparsa per la prima volta su "La Valtellina" del 1911 (recentemente ripubblicata nel volume "Punte e passi") che raccoglie quasi tutti gli articoli che il Valerio scrisse su quel giornale.
Il 29 dicembre Bruno Galli Valerio sale, a piedi, da Sondrio ad Agneda per raggiungere la guida Giovanni Bonomi, lì residente tutto l'anno. Il professore, per la notte, viene fatto accomodare in un fienile, coperto di pelli di pecora e di fieno, appunto. I due, all'alba del giorno successivo - che come il Galli Valerio ricorda fu «un'alba fredda e triste in una valle sparsa di ghiaccio e di neve», risalgono la Valle di Caronno oltre le baite di Scais (dove oggi c'è la diga) e, giunti all'Alpe di Caronno, volgono a nord prendendo a risalire gli erti pendii meridionali del Pizzo di Rodes: «Tutto all'intorno, come giganti, rizzavansi le candide vette del Medasc, del Redorta, della Punta di Scais, della Porola, dello Scotes, del Biolco e del Rodes. Nel loro gran mantello bianco sembravano più grandi e più severe: i fianchi del Rodes erano ghiacciati e sparsi di fresco nevischio. La fatica dell'ascensione su quel suolo sdrucciolevole si faceva sempre maggiore. Sui campi di neve si affondava fino al ginocchio». Ma il Bonomi è un alpigiano temprato e il professore è molto determinato: «Toccammo infine la cresta che sale alla vetta. Una cresta di neve dura nella quale intagliammo qualche gradino, e che ci permise di raggiungere l'ultimo vertice dopo 5 ore e mezza di marcia da Agneda».
Stavamo tralasciando un particolare importante, che forse avrete già notato: gli alpinisti non disponevano di sci! Questo attrezzo, che costituirà una rivoluzione assoluta nel modo di concepire l'alpinismo invernale, farà la sua prima comparsa sulle Alpi centrali nei primi del Novecento, ad opera soprattutto della Sezione Valtellinese del Cai.
Oggi, per salire al Rodes con gli sci, ci si rivolge al più dolce versante settentrionale. Se, tuttavia, a qualcuno venisse in mente di ripercorrere le tracce dei primi salitori invernali (idea certamente avventurosa ancor oggi), quel qualcuno, nel salire, pensi a costoro, che non possedevano né sci per l'avvicinamento, né buoni scarponi impermeabili, né ramponi di sorta né, tanto meno, abbigliamento in gore-tex come quello di oggi!