Dal posteggio di Niblogo si segue la strada sterrata che,con percorso pianeggiante,entra in Val Zebrù; dopo poco più di 1 km la abbandoniamo per deviare a destra e traversare il torrente Zebrù in località Ponte TreCroci. Si procede ora lungo una stradina che, attraverso il bosco, giunge alle caratteristiche baite in legno di Pradaccio di Sotto (1.661 m,mezz'ora dal posteggio) da dove si sale al vicino nucleo di Pradaccio di Sopra (1.724m). Seguendo le indicazioni per Cavallaro, si imbocca una strada sterrata che procede con numerosi tornanti nel bosco sovrastante e che man mano diventa sempre più ripida e diretta.Tralasciando una deviazione verso destra, si continua nel bosco e sempre più ripidamente si arriva, puntando in direzione Sud-est, alle radure di Prato San Nicolò(2.045 m). La sterrata prosegue giungendo poi alle baite di Cavallaro (2.168 m, 1 h e 30 min da Pradaccio di Sotto), ai limiti del bosco e sale quindi alla baita più alta della frazione,poco oltre la quale si incontra il bivio segnalato dei sentieri per la Val Zebrù (Bivacco Costantini) e per il Confinale Alto. Si segue quest'ultima direzione perun centinaio di metri e prima di attraversare il Torrente Cavallaro, sulla sinistra, si stacca il tracciato dell'antica mulattiera militare che,con ampie svolte, risale la Val Cavallaro. La lunga salita tra prati e pietraie termina al passo del Forcellino 2778 m (ore 1,30 dalle baite Cavallaro); il colle si apre tra il Monte Forcellino e la cima delle Saline ed è caratterizzato dai resti delle costruzioni che ospitavano i soldati italiani durante la prima guerra mondiale. Ancora oggi impressionanti quantità di filo spinato difendono la strategica postazione sul versante orientale. Dal colle si segue a sinistra (Nord) il largo crinale di erbe e roccette del Monte Forcellino 2848 m, raggiungendone la vetta con percorso elementare.
Ritornati al valico, volendo scendere in Val Zebrù, si deve prendere una debole traccia che percorre un leggero avvallamento prativo che si stende alle pendici della vetta. Poco dopo la traccia diventa un po' più marcata e per essa si perde quota lungo ampi pascoli verdeggianti finché è possibile piegare a destra per portarsi quasi in centro all'ampio anfiteatro della valle del Rinec (Val del Rabbioso) sovrastato da una notevole struttura rocciosa al suo centro. Si prosegue in direzione Nord-est seguendo una leggera dorsale erbosa che delimita a sinistra il vallone del torrente di valle, giungendo nei pressi di alcuni ruderi. Da qui, per un breve tratto, il cammino si fa più incerto e con percorso libero si possono seguire diverse tracce che, in ogni caso, si devono abbassare direttamente sotto il ruderi. Non molto più a valle si intercetta un marcato sentiero che poco dopo con numerosi tornanti rientra nel bosco per arrivare finalmente nei pressi del Ristoro Campo in località Baite Campo di Mezzo. Il rientro avviene ora seguendo la strada della Val Zebrù.
Madonna dei Monti è una frazione di Valfurva costituita da otto agglomerati distribuiti su una fascia altitudinale compresa fra i 1400 e i 1700 m, sul solare versante destro orografico della valle, allo sbocco della Val Zebrù. Procedendo dal basso s'incontrano in successione le case di Piazzola, Adam, Niblogo, Canéreglia, Fantelle, Cadalberto e Plazzanecco, villaggi che mantengono ancor oggi quasi intatte le loro caratteristiche originarie, rivestendo un notevole interesse architettonico ed etnografico. L'architettura tipica delle antiche dimore di Madonna dei Monti è, infatti, completamente diversa da quella delle abitazioni di fondovalle. Quassù prevale l'influenza della cultura teutonica. Forse questi abitati furono costruiti da popolazioni Walser alla ricerca di nuove terre da colonizzare, forse li eressero gruppi di minatori bavaro-tirolesi impegnati nello sfruttamento delle miniere di ferro della Val Zebrù, coltivate già nel XII secolo. Elemento costruttivo principale è il legno, materiale di facile utilizzo e impiegato nelle aree dove v'era abbondanza di boschi. Sul fondovalle, nelle case tradizionali, prevale invece l'uso della muratura in pietrame con una matrice costruttiva che si richiama a quella Engadinese. L'influenza delle popolazioni di origine retoromancia è evidentissima anche se si è un po' persa la tradizione degli abbellimenti pittorici o a graffito delle facciate.
Importanti riferimenti sulla storia e le tradizioni della Valfurva sono custoditi nel Museo Vallivo che ha sede a San Nicolò nell'ex Oratorio dei Disciplini di Furva. Accanto alla ricostruzione della tipica casa furvasca e di una casera per la lavorazione del formaggio, si trovano raccolti utensili e attrezzi usati nelle diverse attività tradizionali d'un tempo. Si tratta di testimonianze che ci parlano di un'economia piuttosto chiusa ed autarchica, basata sul principio dell'autosufficienza.
Assai interessante è anche la sezione del museo dedicata ai reperti della Grande Guerra.
Le fortificazioni militari costruite sul Monte Forcellino, che erano dotate fra l'altro di quattro pezzi d'artiglieria da 149/G e 75/A, stupiscono ancor oggi per la loro complessità. Sul versante meridionale sono ancora visibili i ruderi di grandi edifici che ospitavano le truppe. Sul versante opposto, linee di trincee scavate sulle rocce a picco, gallerie e appostamenti, garantivano un ottimo campo di fuoco verso le creste del versante opposto della Val Zebrù, dov'erano attestati gli asburgici.
Poiché il confine fra Italia ed Austria correva sulle creste del versante destro orografico di Val Zebrù, quest'ultima avrebbe dovuto essere occupata da nostri, ma sotto la costante minaccia del nemico che dominava dall'alto. Si decise pertanto di lasciare la valle come una sorta di terra di nessuno, fortificando, invece, le creste del versante opposto. Le postazioni del Forcellino erano un po' il cuore di questa linea difensiva strana, ma inizialmente necessaria. Solo qualche tempo dopo i comandi italiani si resero conto della necessità di compiere uno sforzo per arrivare a controllare anche le creste che si affacciavano verso lo Stelvio. Scopo finale di questa strategia era l'aggiramento delle posizioni austriache sul Passo dello Stelvio ed il successivo controllo di quest'importante valico. In una estenuante serie di attacchi e contrattacchi gli alpini giunsero ad un soffio dal successo completo, a prezzo di grandissimi sacrifici, in una lotta combattuta quasi sempre sopra i 3000 metri. Ma anche gli austriaci disponevano di uomini valorosi, montanari come i nostri, conoscitori delle loro montagne e ad esse legati. Così, nel giugno del 1916, buona parte delle posizioni conquistate dagli italiani, fra cui quelle avanzate del Madaccio di dentro e sulla Punta Tukett, furono riconquistate dal nemico. La Val Zebrù era salva e restò sempre sotto il controllo italiano, e da quel momento il fronte dello Stelvio restò immutato, praticamente "congelato" nei suoi ghiacci perenni, fino al termine del conflitto.