La gita che proponiamo vi porterà, in un'altra piccola capitale dell'antica Valtellina: Bormio. "Magnifica Terra", "Magna Terra di Bormio e le onorate valli" sono due antiche denominazioni di Bormio e del suo comprensorio, che bene stanno a qualificare i luoghi in cui sorge uno dei più celebri centri turistici delle Alpi. La conca è chiusa a nord dall'imponente muraglia di calcare e dolomia della Reit 3075 m, ai cui piedi il solco della Valtellina si dirama nella Valfurva ad oriente, nella Valle dell'Adda verso nord e nella Valdidentro ad occidente. La fama di cui sempre ha goduto il bormiese è dovuta sia dalle fonti termali sia dal clima particolarmente salubre e quasi privo di sbalzi termici. Infatti, nonostante la quota rilevante e la presenza di montagne che superano abbondantemente i 3000 metri, si registrano in media 60-65 giorni di cielo coperto all'anno con temperature oscillanti tra i 15 e i 28 C. Per contro, le abbondanti precipitazioni invernali consentono di praticare lo sci fino a primavera. E lo sci è sicuramente una delle maggiori fonti di reddito per questo splendido comprensorio alpino che dopo aver ospitato diverse manifestazioni agonistiche mondiali oggi si avvia verso le Olimpiadi invernali 2026.
Possiamo iniziare la visita al paese partendo dai semafori che si incontrano sulla SS 38, poco dopo l'ingresso dell'abitato. Sul lato sinistro della strada sorge la sobria costruzione della chiesa di S Barbara, eretta nel 1812 come ex voto dopo un'epidemia di peste nel luogo aperto dove, per ragioni di igiene, si tenevano le pubbliche adunanze. Riattraversata la statale, si imbocca la prospiciente via al Forte, abbellita dalla dimora patrizia degli Anzi (XV secolo), con le sue grandi finestre protette da inferriate in ferro battuto. Circa a metà della via si prende a sinistra Via Pedranzini, ove sorge I'omonima casa che conserva stemmi delle Leghe Grigie (XVII secolo) e, all'esterno, la porzione di un'antica torre con finestrella trilitica. All'angolo con Via Bardea sorge la casa Berdea-De Simoni che ha sul portale uno stemma litico molto bello e, poco oltre, l'antica casa De Simoni, Al n°19 si trova l'edificio dell'Antica Dogana nord-ovest del borgo (Casa Cantoni-Confortola), che serviva al controllo dei traffici con i valichi della Valle del Braulio e del Livignasco Il porticato interno conserva un'interessante colonna cinquecentesca. Al termine della via si prende a sinistra la Via Mosconi in fondo alla quale, su una piazzetta acciottolata con fontana, posta poco sotto il livello stradale, si affaccia la casa Berbenni-Garzetti, autentico esempio di dimora rurale bormina. Si giunge quindi in Via Monte Braulio dove si trova la Casa Castellazzi-Cola (XV sec.), sulla cui facciata è ancora visibile uno sbiadito affresco attribuito a Giovannino da Sondalo. Percorrendo a sinistra Via Monte Braulio e poi a destra Via Rovinaccia si sale ad intercettare Via Giacinto Sertorelli. Proseguendo si lambisce l'edificio del Muso Mineralogico e poco più a monte si giunge all'ingresso del Giardino botanico Rezia. Tornati in Via Monte Braulio la si percorre verso il centro deviando poi in Via S. Francesco e poco più avanti in Via del Buon Consiglio, ove sorge il Palazzo De Simoni, ora sede degli uffici comunali e del museo. Il palazzo è una grande dimora fortificata, con una bella torre medievale certamente di costruzione anteriore al resto dell'edificio. All'interno si possono ammirare ancora i locali realizzati secondo la tradizione locale e la bellissima "stüa". Al termine della via, nella Piazzetta Buon Consiglio, sulla casa Giacomelli-Compagnoni si potrà notare un affresco che raffigura il più antico stemma nobiliare della contea di Bormio, risalente a un ignoto casato del XIV secolo. Sulla destra è già visibile la Torre delle Ore ma noi prendiamo a sinistra Via Castello confluente in Via Borche che traversa per proseguire a gomito sulla sinistra. Si percorre questa strada fino alla piazzetta del Santelon, bianca cappelletta dove sulla destra prosegue una ripida sterrata che esce dal borgo e fra prati raggiunge in breve i ruderi del Castello di S. Pietro (XIII secolo) presso cui sono ancora visibili i sedimi della chiesa coeva dei Santi Pietro Paolo e Andrea, andata distrutta in un incendio nel 1817 e localmente nota come Gesa Rota (chiesa rotta).Tornati al Santelon si scende a sinistra in Via Castello che traversa due volte Via Alberti (questa compie infatti un tornante) e giunge in Piazza Cavour / Piazza del Kuerc. La Terre delle Ore che un tempo faceva parte del "quartiere Alberti", fu donata dalla famiglia alla comunità, dopo la distruzione del castello di San Pietro ed eletta a torre civica. Il suo nome deriva dalla meridiana inserita nel muro e dipinta da Menico Nesini. Già esistente nel XIV secolo la torre ospitava la "Baiona", I'enorme campana che chiamava la popolazione in adunanza e scandiva i tempi del pericolo, ma anche quelli della letizia. Per l'eccessivo "lavoro" al quale fu sottoposta annunciando un attacco delle milizie viscontee nel 1376, la campana crollò al suolo. Fu poi rifusa nel 1488 e l'anno seguente fu rimessa al suo posto nella torre, che nel frattempo era stata innalzata di un piano. La campana pesava ben 29 quintali, ma dopo l'incendio della torre, avvenuto nel 1855, il peso fu ridotto a 24,5 quintali. Sotto la torre, affacciato sulla piazza, si trova il celebre "Kuerc", la tettoia ad anfiteatro risalente al XIII sec. dove si tenevano le riunioni del Consiglio. Sempre in Piazza Cavour sorge la chiesa collegiata dei Ss. Gervasio e Protasio; esistente già nel IX secolo, fu devastata dagli Svizzeri nel 1620 e distrutta dagli Spagnoli l'anno successivo. Fu poi ricostruita in due riprese fra il 1626 ed il 1641. La facciata, che anticamente doveva essere per buona parte in legno, presenta un bel portale in pietra verde della Val Campello; il suo rifacimento fu opera del luganese Gaspare Aprile. All'interno si trovano otto cappelle laterali; nella prima di sinistra è conservato il fonte battesimale sormontato da un tempietto ligneo di forma ottagonale, opera di Giovanni Tedesco (1648). L'abside ospita il coro ligneo intagliato dai fratelli Fogaroli di Bormio (XVII secolo). Sotto l'imponente organo si trovano altre opere lignee di discreta fattura e a grandezza naturale, raffiguranti San Giuseppe d'Arimatea, la Madonna e le cinque Pìe Donne. Sul pulpito si può ammirare lo stemma degli Imeldi intrecciato con quello del Foliani, forse la migliore opera di intaglio conservata nella chiesa. A fianco della chiesa sorge l'antico e slanciato campanile, con i suoi finestroni ogivali, rifatto nel 1551 e completamente restaurato nel 1927. Andando a sinistra, si entra ora in Via Morcelli che si percorre fino all'incrocio con Via Ripa Guardia, ove sorge l'imponente edificio dell'Antica Dogana di sud-est. Nelle sue vicinanze passava la "Via Imperiale" che serviva al transito delle merci che, provenienti dal Ducato di Milano e dalla Repubblica Veneta, giungevano dal passo del Gavia, per proseguire in Engadina e Tirolo. Volgendo a destra, si giunge poi al trecentesco Ponte di Combo, con la sua bella arcata stesa sul torrente Frodolfo e le due cappellette che si fronteggiano al centro. Al di là si entra in Via Marconi, ove sorge la Casa lmeldi, bell'esempio di abitazione fortificata e pregevole per la sua grande finestra trilitica, con coronamento a timpano della facciata. Proseguendo in Via Marconi, fra ben conservate abitazioni rurali, si giunge al piccolo dosso ove sorge la chiesetta del Sassello (o della Pazienza) risalente al XIV secolo, con il caratteristico campaniletto. Prendendo un vicolo sulla destra si giunge all'incrocio con Via S. Antonio ove si possono ammirare, separate da una cappelletta, le case Zuccola e Settomini. L'ingresso della prima è arricchito da un pregevole affresco di Giovannino da Sondalo raffigurante la Madonna incoronata col Bambino e i Santi. Poco più avanti si trova la chiesa di S Antonio Abate o del Crocifisso, fondata nel 1368. Al suo interno sono conservati numerosi affreschi rappresentanti la Crocifissione e un Cristo ligneo, opere di un intagliatore locale del XVI secolo. Il crocifisso viene periodicamente portato in processione, secondo una tradizione iniziata nel 1733. La chiesa ha una sola navata, la pala dell'altare maggiore raffigura Sant'Antonio ed è opera del bormiese Carlo Marni, la volta è affrescata con immagini dei Quattro Evangelisti attribuite ad Antonio o Abbondio Canclini (altri li attribuiscono a Girolamo Romanino, della scuola di Moretto da Brescia). Concludendo il giro di questa parte della cittadina, torniamo nella piazza del Kuerc (Piazza Cavour). Da qui si entra quindi in Via De Simoni, una delle più rappresentative del borgo con le sue case risalenti al XVI e al XVII secolo. All'incrocio con Via del Ginnasio si trova la chiesa di S. lgnazio costruita tra il 1635 e il 1674 dai Gesuiti. La pianta ottagonale presenta quattro lati più brevi e quattro più lunghi, che si alternano. Proprio di fronte alla chiesa, sull'altro lato della via, sorge la Casa degli Alberti, sede della biblioteca civica, sulla cui facciata si possono notare i colorati stemmi di Luigi XI e dei Visconti. Più avanti, in fondo alla via e sulla destra, si trova la Torre degli Alberti dalle finestre medievali con mensoloni, che sporgono nella parte alta e che forse servivano a sostenere una struttura sporgente lignea. Tornati in Via De Simoni si continua per essa, lambendo altre antiche case patrizie: Casa Lumina, il cui portale principale è arricchito dall'affresco di Castore e Polluce, il Palazzo Nesini e nell'ordine, le case Ferrari, dal magnifico portone ligneo, Zampatti (1594), Motta, (1623), e Schena (1676). Prendendo a sinistra Via Trento, si sbuca poco dopo in Via Roma, cuore della Bormio turistica. Andando a destra si giunge in breve nella piazzetta ove sorge la chiesa di S. Vitale del XII secolo, una delle più antiche del borgo. Gli affreschi esterni sono del Trecento, ma è purtroppo scomparso il grande affresco raffigurante San Cristoforo che si trovava sulla parte destra della facciata. A questa immagine era collegata la credenza che chi l'avesse guardata per un giorno intero non avrebbe dovuto temere malanni. Oltre Via Roma si prosegue nella breve Via IV Novembre, nei cui pressi sorge il trecentesco edificio della ex chiesa di S. Spirito oggi proprietà del Comune di Bormio. Purtroppo le varie destinazioni d'uso subite hanno contribuito non poco al degrado dei preziosi affreschi che ne abbelliscono gli interni.
Le vicende storiche legate a questo borgo e al suo territorio sono talmente peculiari ed importanti che abbiamo pensato di farne un breve sunto per permettervi una migliore comprensione della "realtà separata" di Bormio. Siamo infatti ancora in Valtellina, tuttavia anche al visitatore più distratto, balzano agli occhi differenze piccole e grandi, che si rispecchiano in primo luogo nell'impianto urbano dell'abitato e nella tipologia delle sue costruzioni. Data la particolare posizione, sia in termini strettamente locali sia in rapporto con l'orografia alpina, l'abitato di Bormio ha avuto una fortunata evoluzione. La sua crescita fu graduale ma, già nel '300, il paese aveva l'aspetto e l'organizzazione di una vera e propria piccola città grazie all'amministrazione di governi illuminati. Si pensi solo all'iniziativa del Liber Stratarum, censimento delle strade e del suolo pubblico, voluto dal podestà del tempo per impedire abusive occupazioni di spazio da parte dei privati: è questo il motivo per cui le strade della Bormio medievale sono più larghe e spaziose di quelle di altri centri analoghi. Anche l'abitazione diviene nel tempo sempre più confortevole e razionale, assumendo una sua tipologia. L'ingresso unico, formato da un grande arco con portone, immette in un androne da cui è possibile accedere alle stalle (seminterrate), al fienile e alle cantine oppure all'abitazione, Quest'ultima è composta da un'unica grande stanza, la "stüa", coibentata con pannelli di legno e riscaldata da una "pigna" (stufa), la cui accensione avviene dall'esterno per evitare di affumicare il locale, Nella stüa si trovano il letto matrimoniale e anche i Ietti dei bambini; il locale è collegato con la cucina tramite un'apertura passa vivande, la "giugarola". La cucina ha un grande focolare, il forno per il pane, un ripostiglio e la dispensa. Le case dei patrizi e dei nobili presentano notevoli abbellimenti e sono più spaziose soprattutto nella parte abitativa. Tale situazione e stata mantenuta fino ai primi del '900, poi le più moderne tecniche costruttive e il mutare delle condizioni socio-economiche hanno imposto il graduale abbandono di questo modello abitativo in favore di soluzioni meno suggestive ma più attuali. L'antico passato di potenza e ricchezza traspare ancora dagli edifici del centro storico di quello che per molti secoli fu un perno importante nelle comunicazioni fra il sud ed il nord di questo settore alpino.
La prima colonizzazione sicura di questo territori può essere fatta risalire all'Età del Bronzo e probabilmente fu dovuta a qualche tribù del popolo del Reti, che in tutto il settore centro alpino diede vita ad una fiorente civiltà. Per tutte le popolazioni alpine le acque termali avevano un significato sacro e di certo quelle di Bormio contribuirono ad accrescere l'importanza della località anche come luogo di culto. Lo stesso nome, Bormio, è collegato al termalismo: potrebbe derivare dal celtico "Worm" oppure da "Borvo" o "Borno", dio gallico delle località termali della Savoia.Nel 15 a.C. dopo lungo tempo i romani vinsero le resistenze delle popolazioni locali. La loro dominazione portò notevoli miglioramenti alle condizioni della viabilità locale, senza tuttavia mai arrivare alle grandi opere effettuate in altre valli alpine, e Bormio, oppidum turritum, godette di una certa tranquillità finché, con il declino dell'impero, giunsero i barbari, Di certo passarono i Goti e poi i Longobardi, ai quali va forse il merito di aver aperto l'importante via di comunicazione poi divenuta nota come "Via Imperiale di Alemagna" che, transitando fra le due torri gemelle del Passo di Fraele, collegava il Bormiese con l'Engadina.Fra il X e il XIll secolo si susseguirono molteplici contese fra i vescovadi di Coira e di Como per il possesso del territorio, ma su tutto ciò prevalse l'abilità dei Bormiesi, che seppero strappare di volta in volta dai vari signori di turno diritti e privilegi che accrebbero la loro autonomia. Da qui all'istituzione di un potere comunale, con le sue leggi e il suo governo il passo non fu difficile. Nel XIV secolo Bormio entrò, con tutta la Valtellina, sono l'influenza dei Visconti che, con la "Magna Charta Libertatis Burmii", aumentarono ancor più l'autonomia della "Magnifica Terra" che, per oltre un secolo, godette di un periodo di prosperità. Tale età d'oro fu interrotta nel 1487 con l'invasione della Valtellina da parte della Leghe Grigie e, quasi a presagio di un mutare delle condizioni future, per ben tre volte (1468, 1476, 1495) un'epidemia di peste s'abbattè sul Bormiese. Seppure sotto forma di protettorato come per Chiavenna, e con notevoli differenze di governo rispetto al resto della Valtellina, il territorio rimase sotto i Grigioni fino al 1797 quando Bormio fu annessa alla Repubblica Cisalpina e poi al Regno d'Italia. Dopo il Congresso di Vienna giuse infine la dominazione asburgica che riportò un po' di splendore nella "Magnifica Terra", soprattutto grazie a un'accorta e lungimirante amministrazione e alla realizzazione di numerose ed importanti opere, tra cui la strada del Passo dello Stelvio. Nonostante ciò il dominio straniero era mal sopportato e molti bormini si distinsero durante le tre guerre d'indipendenza. Memorabile resta l'episodio legato all'azione dell'eroe locale, la medaglia d'oro tenente Battista Pedranzini. Con soli quattro uomini, residuo di un più consistente manipolo di quaranta, dopo aver scavalcato l'impervia muraglia della Reit ed essere sceso sul versante opposto, il tenente prese alle spalle, catturandolo, l'intero presidio austriaco di 65 soldati, che ancora si annidava nella Valle del Braulio. Dopo questi avvenimenti, il territorio fu definitivamente unito al Regno d'Italia nel 1859.
Il museo civico
Il museo, aperto cinque giorni alla settimana, è ospitato nell'ala settecentesca del Palazzo De Simoni. In esso sono conservate opere di grande pregio fra cui le ancone lignee di Bartolomeo Paruta (XVII secolo), del Malacrida (XV secolo) e quella con tela attribuita a Vittoria Ligari. Notevoli sono alcuni dipinti fra i quali spicca il San Ranieri, opera dell'Hayez, di proprietà della chiesa della Cantoniera dello Stelvio, alla quale fu donata nel 1832, dall'arciduca Ranieri, in occasione del suo passaggio per la strada dello Stelvio.
Fra le altre testimonianze del passato storico si ricordano il calco in gesso del bassorilievo ceIto-etrusco trovato a San Vitale, gli "Statuti civili e criminali della contea di Bormio" e una serie di ex voto locali autenticamente naif ed estremamente utili per gettare, seppure da lontano, uno sguardo sulla vita di tutti i giorni dei bormini d'un tempo.
Il settore etnografico è forse quello di maggiore interesse; in esso sono ricostruiti e perfettamente conservati gli ambienti della vita comune degli abitanti locali ed i loro attrezzi di lavoroAccanto a queste testimonianze si trovano anche quelle che dimostrano come da secoli Bormio sia un importante punto di passaggio: la diligenza del servizio fra Bormio e il Tirolo e le slitte usate dagli operai della manutenzione stradale di un tempoSi ricorda inoltre l'archivio fotografico con le 350 lastre del fotografo Passino che documentano la Bormio dei primi del Novecento.