Lasciata l'auto ad Arale 1485 m, dove sorge il rifugio Beniamino, ottima base d'appoggio per gite nei dintorni, si continua a piedi per la mulattiera che porta al Passo di Tartano, importante valico di collegamento con la bergamasca, Foppolo e la Val Brembana, assieme al vicino Passo di Porcile. Il tracciato è evidente e sale dapprima con un lungo diagonale tenendosi a sinistra del torrente. Dopo un tratto nel bosco si sbuca nei pressi della Baita Bianca 1624 m, situata un centinaio di metri più a valle delle baite della Corna 1785 m. Proseguendo la salita in direzione Sud, si oltrepassa, su un ponte di cemento, il torrente che si origina dalla confluenza di due corsi d'acqua minori che scendono dalla Cima Vallocci 2510 m. Ora il tracciato piega gradualmente verso Sud-est e, dopo un altro tratto nel rado bosco di larici, sbuca nella conca erbosa della Casera di Porcile 1809 m. Procedendo ora verso destra si sale per rado bosco di larici e pascoli lambendo, poco dopo, la Baita di Lares 1900 m, dove, verso sinistra, si stacca un sentierino che, in breve, giunge ad attraversare il torrentello emissario del minore e più basso dei laghi, 2005 m, che in pochi passi si raggiunge. Il secondo lago, a 2030, m è un poco più a Est, al di sopra di un piccolo gradino di erbe e rocce affioranti; il terzo, 2095 m, nei cui pressi sorge una baita, è a Sud, al di sopra del gradino roccioso che piomba sul secondo lago. Da qui salendo per erbe e detriti verso Sud-est si raggiunge il sentiero che, in breve, porta alla sella del Passo di Porcile 2290 m da dove si scende verso Foppolo. In discesa, dal passo si segue il sentiero che, dopo un primo tratto diretto, compie un grande arco di cerchio verso destra fiancheggiando da lontano, a Est, i laghi. Raggiunto lo sbocco della piccola valle dei Lupi (a destra segnalazioni della GVO) si raggiunge la baita posta a quota 2033 m, presso le sponde impoverite di quello che doveva essere un quarto lago (qui si giunge anche dal secondo lago spostandosi circa 200 m verso Est-nord-est). Si prosegue ancora per il sentiero che entra in una sorta di valloncello d'erosione percorrendone, poi, la sponda destra orografica che ci riporta alla Casera di Porcile.
Un'altra alternativa, altrettanto semplice, consiste nel portarsi verso Sud-ovest all'ampia sella del Passo di Tartano, dove sono ancora visibili opere difensive costruite durante la Grande Guerra. Da qui, per le facili creste erbose del crinale ci si può spingere sulla facile Cima di lemma da dove si ammira un esteso panorama sui due versanti orobici. In questo caso la discesa migliore si compie tornando ai laghi e riprendendo il percorso di salita.
I laghi di Porcile sono una delle più classiche e interessanti mete escursionistiche delle Alpi Orobie. La gita per raggiungerli è molto facile, poco faticosa e sicuramente di notevole suggestione. In "pochi passi", lasciata l'auto, ci porteremo presso il crinale spartiacque con le valli bergamasche seguendo sentieri usati da generazioni di pastori e alpigiani per spostarsi da un versante all'altro. I tre laghetti sono situati alla testata della Val Lunga che, assieme alla Val Corta, confluente da Sud-ovest, origina il grande solco della Val Tartano che, a sua volta, raggiunge la Valtellina poco ad Est di Talamona.
Di origine glaciale, i tre specchi d'acqua sono distribuiti secondo un disegno a spirale ascendente, trovandosi su tre terrazzi di escavazione posti a quote differenti; gli esperiti definiscono questa conformazione, "a rosario". Anche le poche rocce che affiorano nei dintorni portano evidenti i segni dell'azione degli antichi ghiacciai. Probabilmente, non molto tempo addietro, doveva esserci anche un quarto laghetto che si è man mano riempito di detriti e, forse, in parte prosciugato per carenza di apporti idrici. I suoi resti sono ancora ben riconoscibili causa il terreno torboso e i bianchi batuffoli degli eriofori, tipiche piante delle zone paludose di montagna, che in estate costellano queste praterie. Tutt'attorno il paesaggio è amplissimo e riposante: cime poco elevate, spesso quasi completamente coperte d'erba, circondano i laghetti mostrando alle loro pendici qualche piccolo ghiaione che contrasta ancor più in quel mondo verdeggiante di acque e di pascoli. D'estate i laghi sono meta di molti appassionati pescatori d'alta montagna che tentano di catturare le prelibate trote locali.
Pesca a parte, tutta la zona si presta a magnifiche passeggiate, alcune delle quali non mancheremo di segnalare nelle prossime puntate. Un'ottima rete sentieristica consente piacevoli e sicure gite che vanno dalla breve passeggiatina alla lunga traversata della GVO, la Gran Via delle Orobie.
La presenza del rifugio Beniamino offre una buona base e un confortevole punto d'arrivo e di ristoro per tutti gli escursionisti.
La GVO è un po' il fiore all'occhiello fra le proposte escursionistiche del Parco delle Orobie Valtellinesi. Si tratta di un percorso che, unendo diversi sentieri, traversa tutta la catena tenendosi sul versante Valtellinese, da Colico al Passo dell'Aprica. Partendo dal Monte Legnone si traversano ben 19 vallate e altrettanti passi, in un susseguirsi di ambienti sempre diversi, dai facili pascoli delle valli del Bitto alle oscure testate di rocce e ghiacciai della Val d'Arigna. Pochi punti d'appoggio, e quasi nessuno gestito, rendono questo percorso un impegno severo per chiunque, anche se recentemente tutto il tragitto è stato ottimamente segnalato a cura del Parco delle Orobie. Per compiere l'intera traversata si calcolino almeno dieci giorni di marcia in ambienti in buona parte selvaggi e a stretto contatto con la natura più vera.
La Val Tartano è conosciuta per le sue caratteristiche contrade, per le bellezze naturali ma, anche, perché vi "nasce" un'autentica ghiottoneria. Come nelle vicine valli del Bitto di Gerla e Albaredo, negli alpeggi della valle si produce il celebre formaggio grasso d'alpe noto come Bitto. In questi ultimi anni, la crescente domanda del prodotto ha però indotto alcuni enti a sostenere un allargamento dell'area produttiva. Esiste, invece, un gruppo di "conservazionisti" che propende per una politica opposta, tesa a mantenere la produzione del Bitto nelle vere aree originarie, tutte concentrate nelle valli Gerola e Albaredo, dove si trovano gli alpeggi di elezione, ognuno dei quali produce un Bitto che, per l'intenditore, ha precise caratteristiche tipiche.
Questo prelibato quanto raro prodotto caseario ha recentemente guadagnato il marchio D.O.P. soprattutto grazie all'inconsueta ricetta della sua preparazione. Il segreto principale della bontà di questo formaggio grasso, oltre ad un'attenta caseificazione, consiste infatti nell'aggiunta di una certa percentuale di latte di capra. Ma ad un sapore tanto pieno e al tempo stesso raffinato, contribuiscono anche le particolari essenze che compongono i pascoli di questo tratto delle Alpi Orobie. Sapienti tecniche di stagionatura aggiungono il tocco finale all'opera del casaro. In genere il Bitto si consuma dopo una media stagionatura di qualche mese, ma le cantine di Morbegno e dintorni celano, come autentici tesori, anche forme di due o più anni d'invecchiamento. Esistono, tuttavia, forme che hanno raggiunto e superato i 15 anni di età grazie alle continue cure di chi le custodisce. Forse da questa sua straordinaria capacità di conservazione deriva il nome di questo formaggio che alcuni fanno risalire al celtici "bitu", perenne, longevo. Ogni anno, nei primi giorni d'ottobre, una sagra che ha raggiunto quest'anno la novantaseiesima edizione, celebra, a Morbegno, questo "re dei formaggi d'alpe".