Da Chiareggio è possibile proseguire ancora un poco in auto lungo una sterrata che, più avanti, si biforca. A sinistra scende verso il Pian del Lupo, portandosi al punto di confluenza fra le valli Ventina, Sissone e Muretto; a destra sale ora più stretta e dissestata verso il Passo del Muretto (il tracciato, che comunque ricalca la vecchia mulattiera, è in realtà una ben più recente strada militare costruita negli anni '30). A questo punto è conveniente lasciare l'auto per iniziare a piedi la salita che porta subito ad un bel poggio (località Belvedere 1735 m) sovrastante il Pian del Lupo, da cui di gode una magnifica vista sulla glaciale parete Nord del Monte Disgrazia e sul tormentato ghiacciaio ai suoi piedi.
Ora la stradetta prende a salire con più decisione e inizia una serie di tornanti nel bosco che, dopo una breve interruzione pianeggiante, riprende portandosi poco sotto i prati dell'Alpe dell' Oro 2010 m. È consigliabile la breve deviazione verso destra che, in pochi passi, porta all'alpeggio, per poterne ammirare le vecchie baite e la splendida localizzazione.
Ritornati sulla stradetta principale ci si inoltra ora verso Nord, nella Valle del Muretto, dominata verso Nord-ovest dalla bella punta del Monte del Forno 3214 m. Ci si avvicina così al greto del torrente finché, verso i 2300 m, la strada si perde fra i detriti. Non ci sono tuttavia problemi di sorta: risalendo due successivi valloncelli detritici (qui è possibile anche rinvenire interessanti campioni di minerali) si giunge al valico che è posto in quella di destra di due selle separate da un cocuzzolo di sfasciumi.
Il Passo del Muretto è una profonda incisione nello spartiacque principale alpino che si apre a segnare il punto d'incontro fra il granitico massiccio del Masino-Bregaglia a Ovest e il gruppo del Bernina ad Est. L'ampia sella è divisa in due depressioni da una piccola emergenza, quotata 2628 m, ed il valico vero e proprio è situato nella depressione orientale. Il toponimo è piuttosto incerto e potrebbe derivare dalla radice preindoeuropea mor che indica un cumulo di pietre, un risalto, forse ad intendere la sopra citata emergenza. Come tutti i punti d'incontro fra differenti aree geologiche, tutta la zona è ricca di minerali fra cui la vesuvianite, il diopside verde, i granati rossi.
Antico valico commerciale fra Val Malenco, Engadina e Svizzera interna (attraverso i passi del Settimo e dello Julier) il Passo del Muretto era attraversato da una larga mulattiera percorsa da carovane someggiate recanti in Svizzera e nella Mitteleuropa i vini valtellinesi e le pregiate piode per tetti della Val Malenco. Il passo acquisì sempre maggiore importanza allorché, con l'avvento della "piccola età glaciale" (1450-1850 circa), divennero meno agibili i valichi posti a quote più elevate, ma prima preferiti perché più diretti, come il Passo delle Tre Mogge e il vicino Passo di Fora.
Nel 1618 lungo la strada del Muretto venne tradotto a Coira, nei Grigioni, Nicolò Rusca, l'arciprete cattolico di Sondrio inviso ai riformati scesi in città per la stessa via.
Questo episodio fu la scintilla che fece scoppiare la rivolta dei valtellinesi sfociata, nel 1620, nel "Sacro Macello", ondata di violenze che portarono al massacro di circa 400 ignari ed inermi protestanti valtellinesi.
Persa la sua antica importanza il Muretto venne ancora a lungo utilizzato dagli abitanti della valle per recarsi in Svizzera in cerca di lavoro e per il contrabbando, attività questa che non conosceva soste neppure nella stagione invernale.
Oggi la strada, ancora ben conservata per circa due terzi del percorso, si presta ad una splendida gita alla portata di tutti.
I numerosi e comodi passi che consentono il superamento della linea di confine e la particolare situazione geografica della Vai Malenco, che confina con la Svizzera sia a Nord, sia ad Est, hanno da sempre favorito gli scambi, più o meno legali, fra i due versanti. É stato quindi naturale che il contrabbando abbia trovato, proprio in Val Malenco, uno dei suoi punti più favorevoli. Sebbene l'attività non conoscesse stagioni morte, l'inverno era preferito in quanto durante la bella stagione bisognava curare l'alpeggio, i campi, il rifugio, il bosco. Le spedizioni oltre frontiera erano spesso rischiose non solo per la possibilità di essere catturati dai Finanzieri, ma anche per I pericoli oggettivi riservati dalla montagna. Valanghe, crepacci, bufere improvvise erano sempre in agguato. Siamo andati a scovare uno dei protagonisti di questa piccola epopea, conclusasi pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, per farci raccontare la vita dei contrabbandiere.
Si tratta di una testimonianza unica e preziosa che ci parla di un mondo ormai scomparso, che sembra distare anni luce dal nostro tempo, eppure tramontato solo una cinquantina di anni or sono.
Allora, Luciano, raccontaci un po'. Come si viveva in Val Malenco ai tempi in cui facevi il contrabbando?
«La vita era abbastanza grama - ci dice Luciano si campava con la campagna, e con le bestie, perché la mucca l'avevano tutti. lo ho iniziato a fare il contrabbandiere nell'inverno del '46 e sono quasi sempre andato con gli sci. Ogni gruppo paesano aveva le sue vie: quelli di Caspoggio e Lanzada usavano i passi Confinale e Campagneda. Noi preferivamo il Muretto, ma quando la Finanza si è messa a curare strettamente il valico siamo stati costretti a scegliere il Forno. Andava un po' a seconda di chi veniva messo in servizio alla caserma di Chiareggio. C'è stato un periodo che per noi era tutto molto più facile perché c'erano i siciliani e quelli ci lasciavano fare quello che volevamo. Ci dissero che con tutto il contrabbando che c'era per mare non aveva senso cercare di fregare dei poveretti che portavano poche sigarette per campare.
Chiareggio in quegli anni era completamente isolata e per raggiungere l'abitato si partiva da Chiesa Val Malenco percorrendo in sci la strada lunga 11 chilometri. Il giorno dopo si saliva ai Muretto e si scendeva presso il Passo dei Maloja.
In genere portavamo circa 25 chili di sigarette e facevamo il tragitto due, tre anche quattro volte alla settimana; una volta, per risparmiare un viaggio l'ho fatto con 50 chili. Eh, allora eravamo allenati e la fatica non ci spaventava! Se penso poi all'attrezzatura mi viene da ridere: le prime volte siamo andati con lo spago legato sotto gli sci ai posto delle pelli di foca; sui nodi "en ghe pìsava sü" per farli gelare perché l'acqua d'inverno non si trova, e poi via.
Gli sci li facevamo rubando i frassini e lavorandoli a mano. Verso la metà degli anni cinquanta, quando hanno costruito le dighe di Campo Moro ci siamo potuti modernizzare. Lavoravamo per la società energetica Vizzola che aveva anche una squadra di scialpinismo e quindi potemmo disporre delle prime pelli di foca e di sci adeguati. L'allenamento era tale che le gare le vincevamo quasi sempre, soprattutto quelle di staffetta; una volta siamo andati anche nei Pirenei e siamo arrivati secondi».
E da mangiare ?
«Da mangiare pane e formaggio e un po' di acqua e vino che gelava quasi sempre nella bottiglia. Solo dopo il '55 abbiamo cominciato a star meglio.
Da Chiareggio ci si metteva in moto verso le tre di mattina e a mezzogiorno, se la neve era buona, eravamo già di ritorno.
Grazie a Dio siamo sempre stati fortunati anche con le valanghe.
Bisogna dire che eravamo abbastanza prudenti. L'unica volta che abbiamo forzato la mano, per un soffio non siamo stati travolti dalla slavina che si stacca usualmente dalle pendici della Margna. C'era la nebbia, abbiamo solo sentito che stava scendendo la slavina e allora, conoscendo i luoghi, abbiamo forzato l'andatura e raggiunto la sponda elevata dei valletto dove di solito si scarica la massa di neve. C'è andata bene; il giorno dopo i poliziotti svizzeri si sono complimentati per la valutazione. Un'altra volta, nell'inverno '51-'52, siamo partiti col tempo poco buono intenzionati a fermarci qualche giorno a Saint Moritz dove avevamo anche qualche "amica". Però faceva caldo e si vedeva che il tempo sarebbe cambiato ancora in peggio; sul confine abbiamo chiesto alla polizia svizzera se era possibile e sicuro scendere ottenendo una risposta negativa. Allora abbiamo fatto finta di rientrare e, quando i gendarmi si sono allontanati, abbiamo attraversato e siamo scesi restando poi per tre giorni in Svizzera, quindi siamo rientrati col carico. Dal Passo dei Maloja a Cavlocc siamo andati bene, anche se il tempo era ormai pessimo; da qui a Plancanin, un tragitto semi pianeggiante che si percorre generalmente in una ventina di minuti, non siamo più riusciti a muoverci tanto alta era la neve.
Siano stati tre giorni in una baita di Plancanin a mangiare un po' di pane secco e quindi abbiamo deciso di nascondere il carico per poi tornare a Maloja e scendere alla dogana di Castasegna. Quando si è trattato di varcare la sbarra di confine, io sono passato sotto la caserma della Finanza e invece i miei due soci sono stati fermati. Non sapendo più che fine avessero fatto ho commesso l'imprudenza di tornare sui miei passi e di soppiatto mi sono avvicinato alla caserma per poter spiare attraverso la porta. In quel momento è uscito un finanziere esclamando: - ah, eccolo qua il terzo! - ; così anch'io sono stato catturato. La cosa si è risolta con un processo per espatrio clandestino ma senza danno per alcuno».
Ma che merci trasportavate?
«Soprattutto sigarette, ma durante la guerra e subito dopo ci sono state anche altre merci contrabbandate. Per esempio, c'è stato un periodo in cui si portava in Svizzera il riso e in Italia il sale. Nel '46 c'è stato uno strano contrabbando di copertoni d'auto che non ho mai capito, sarà poi come fanno i politici di oggi che gestiscono le cose a "manico d'ombrello": le gomme partivano da Torino, le vendevano in Svizzera e poi c'era chi guadagnava riportandole clandestinamente in patria. Per i copertoni sono morti in sei, sulla cresta est della Sassa d'Entova, proprio nei pressi dei rifugio Entova-Scerscen; inseguiti dalle guardie svizzere, dopo aver traversato il Passo e la Vedretta di Scerscen inferiore, furono colti dalla tormenta e morirono assiderati. Come per i copertoni è stato per il riso, che per la gente comune non si trovava, ma per il contrabbando sì. I contrabbandieri entravano in Svizzera con sacchi di riso e tornavano fuori con il sale, che pure era prodotto in Italia ma costava ben 1.200 lire al chilo. Questo traffico è durato dal '45 al '46 e poi è finito.
Per un certo periodo c'è stato anche un po' di contrabbando verso la Svizzera e si portavano dentro le forme di parmigiano; è bella la storia di quei due che sono entrati attraverso il Muretto con una forma a testa e sono stati intercettati dalla polizia svizzera. A un certo punto, per poter fuggire, hanno dovuto mollare il formaggio alle guardie».
Com'erano i rapporti con i finanzieri e le guardie svizzere ?
«In genere c'era un buon rapporto e la sfida era leale, sportiva; capitava però che, a volte, qualcuno fosse troppo ligio ai regolamenti e allora erano guai. Una volta in un'imboscata sul lato italiano, un finanziere toscano ci ha sparato dietro; allora il giorno dopo gli ho detto che così non si poteva fare perché altrimenti prendevano anche a noi le armi. È stata la prima e unica volta.
In genere i finanzieri ci lasciavano fare il mestiere e al massimo si limitavano ad azioni di disturbo o a sequestrarci il sacco. Un'altra volta, di notte, hanno bloccato a Chiareggio il nostro gruppetto di tre e hanno catturato il meno esperto sequestrandogli il sacco. Quando sono arrivati i finanzieri veneti che erano capaci di sciare abbiamo avuto qualche problema in più nelle fughe, ma conoscevamo benissimo il terreno e poi eravamo troppo forti: non ci hanno mai presi».
Quanto guadagnavate per tutte queste faticacce?
«Di solito lavoravamo per del padroni che erano gente benestante del paese e che poi commerciavano le sigarette in grande stile. Per ogni viaggio prendevamo 2.500 lire che credo possano essere circa 20.000 lire di oggi. Era una paga abbastanza buona se pensi che un quartino di vino costava un po' meno di 100 lire. Nel carico portavamo anche qualcosa per noi, ad uso personale».