Da Sant'Antonio di Scianno 1650 m, dopo aver dato un'occhiata al piccolo portale in legno artisticamente decorato della chiesetta, si segue la carrareccia innevata che, attraversato un ponte, compie due tornanti in un rado bosco di larici per sbucare negli ampi spazi dell'Alpe Gattonino (1860 m). Bello il paesaggio, con le baite disseminate qua e là fino a molto in alto sulle pendici del soprastante Monte Trela e, dall'altra parte della Valdidentro, i boschi e i ghiacciai della Cima Piazzi. Scavalcata la decauville, una strada con andamento pressoché pianeggiante dell'AEM, si prosegue fino a trovare a destra il bivio per Pezze di Plator 2000 m circa.
Per il Monte Trela. Si sale verso Nord, senza traccia obbligata, individuando i passaggi migliori lungo un insieme di modesti avvallamenti e costole poco rilevate; oltrepassata un'ampia spalla pianeggiante, su terreno via, via più ripido si raggiungere direttamente la vetta del Monte Trela 2608 m. Ma dal bivio si può anche seguire verso destra il tracciato per le baite di Pezze di Plator e, oltrepassato un profondo avvallamento, abbandonarlo per rimontare i ripidi pendii sovrastanti in direzione NE. Intersecata la modesta cresta SE del Monte Trela intorno ai 2300-2400 metri di quota, la si segue su terreno decisamente meno ripido, sovrastati dalle impressionanti pareti delle Cime di Plator, fino in vetta.
Per il Dosso Resaccio. Dal bivio per Pezze di Plator 2000 m si prosegue lungo il tracciato principale che, in marcata salita entro un boschetto di pini cembri, consente di raggiungere Vezzola 2091 m, all'imbocco della valle omonima. A questo punto si devia a sinistra, sul ponte che scavalca il torrente Cadangola, e nuovamente a sinistra, imboccando il sentiero per l'Alpe Foscagno. Raggiunte in piano le baite sparse di una radura di fronte a Vezzola, si piega a destra (W) risalendo il groppone arrotondato che costituisce la propaggine sud orientale del Dosso Resaccio. Più in alto, dove il pendio va gradualmente restringendosi, è un susseguirsi di vallette e dossi lungo i quali, talvolta, emergono roccioni scuri chiazzati di gialli licheni. Lungo un ultimo tratto di cresta facile, superabile generalmente con gli sci ai piedi al prezzo di qualche piccola "evoluzione acrobatica", si raggiunge il culmine del Dosso Resaccio 2719 m.
Situate lungo la sponda sinistra orografica della Valdidentro, e all'imbocco della Valle del Foscagno, le vette del Monte Trela e del Dosso Resaccio sono due mete a torto poco conosciute dagli sciatori alpinisti. Infatti, queste montagne sono frequentate quasi esclusivamente dagli sciatori locali. Nonostante questa scarsa notorietà, Monte Trela e Dosso Resaccio rappresentano due itinerari interessanti, sia per la pendenza talvolta sostenuta dei pendii, sia per la buona esposizione al sole, che rende gradevoli questi versanti anche nelle giornate invernali più rigide. Tipiche mete invernali, quindi, dove la neve si trasforma in fretta presentandosi spesso "portante" anche in pieno inverno, consentendo belle sciate su terreno ripido. L'unica pecca potrebbe essere rappresentata dal fatto che il Monte Trela è talmente ben esposto che& a volte l'innevamento non si presenta uniforme, complice magari il vento, ma basterà allora optare per il vicino Dosso Resaccio dove sicuramente troverete condizioni migliori. Inoltre la conca superiore della piccola Val Vezzola, compresa proprio tra le due montagne, è caratterizzata da pendii dolcissimi sui quali eventuali componenti del gruppo, meno "agguerriti", potranno trovare di che soddisfarsi sciando su divertenti e rilassanti campi di neve niente affatto ripidi. Per contro, i più allenati e "assetati di dislivello" possono tranquillamente abbinare le due mete in giornata. Ad accompagnare gli sciatori su questi pendii, c'è un paesaggio decisamente suggestivo e caratterizzato da grande varietà di ambienti e condizionata soprattutto dalla morfologia tipicamente dolomitica delle Cime di Plator, che giganteggiano sopra il Monte Trela. Verso Sud, fanno da contrasto gli estesi, scuri boschi di conifere della Val Viola e le pareti glaciali della Cima di Piazzi. Sciando in questi luoghi, mai la frase pronunciata nel 1926 dal socio del CAI Fridiano Cavara, in occasione di un'assemblea nazionale del sodalizio, sembrerà tanto retorica quanto appropriata: «Chi non sa che la rude ed affannosa fatica dell'Alpinista è alleviata, allietata da paesaggi incantevoli, da scene ognor cangianti che distraggono il suo spirito anelante, e gli infondono forza novella ed ardimento?».
Le Cime di Plator, che più di ogni altro elemento paesaggistico caratterizzano la zona del Monte Trela e della Val Vezzola, sono costituite da roccia dolomitica dell'era mesozoica, vecchia almeno di 150 milioni di anni. Questa roccia si originò sul fondo di un mare basso e caldo, la Tetide, situata tra la paleo-africa e la paleo-europa.
Per decine di milioni di anni coralli e altri microrganismi animali e vegetali si sedimentarono sul fondo di quel mare, formando veri e propri strati. Questi strati, a loro volta ricoperti da altri sedimenti, e sottoposti a enormi pressioni e reazioni chimiche, si trasformarono lentamente in roccia. Poi questa roccia, con il principiare dell'orogenesi alpina (circa quaranta milioni di anni fa), cominciò a piegarsi e a sollevarsi. Le pieghe si fratturarono, andando letteralmente in pezzi, pezzi che i geologi chiamano falde, che si accatastarono e traslarono le une sulle altre. La giacitura delle falde determinò, per prima, la forma e l'aspetto delle montagne, così come si presentano oggi. A volte le falde hanno una giacitura orizzontale, e allora vi sono ben distinguibili gli strati sedimentati, altrimenti sono poste verticalmente a formare grandi pareti, come quelle delle Dolomiti, oppure obliquamente. E' quest'ultimo il caso della falda Ortles-Quattervals, che si estende dalla Valfurva al livignese e che comprende le Cime di Plator. Qui gli strati sono inclinati o immersi verso Nord; a settentrione l'inclinazione dei pendii è solidale a quella degli strati mentre sull'opposto versante meridionale, quello che si osserva salendo al Monte Trela, affiora la testata della falda, che si presenta ai nostri occhi come una parete ripidissima se non pressoché verticale. Ma il rilievo subì altre modificazioni, ad opera ad esempio degli agenti atmosferici e delle glaciazioni, che levigarono e ridussero le rocce più tenere modellando il paesaggio così come lo si osserva oggi verso la Val Vezzola e, in generale, in tutta la zona di Livigno.