Da Eita, ove si hanno maggiori probabilità di trovare parcheggio che non lungo la strada, seguire per breve tratto, a ritroso, la carrozzabile di accesso fino ad incontrare una stradina che, verso destra, si inoltra nella Val d'Avedo. Passando sopra le baite di Avè 1670 m la stradina si restringe a tratturo e, in direzione Ovest, raggiunge le baite Stabine 1821 m e poi il pianoro di Vermolera posto ai piedi del ripido gradino oltre il quale la valle cambia decisamente la sua morfologia.
Poco prima delle baite di Vermolera si traversa il torrente su un ponte e si prosegue sull'opposto versante per buona mulattiera risalendo la ripida china costellata da cespugli di rododendro per giungere sui pianori erbosi dove si trovano i laghi e le baite di Tres 2194 m.
Senza raggiungere le baite è possibile piegare a sinistra e, per pascolo sassoso, percorrere la dorsale che divide i due laghi di Tres portandosi ai piedi di un dosso. Si risale il dosso seguendo le tracce lasciate dal bestiame e si punta in direzione Est-Sud-Est giungendo in un piccolo pianoro erboso ove si incontrano le segnalazioni bianco-rosse del sentiero (il sentiero parte infatti da poco oltre le baite di Tres).
Si segue la segnaletica rimontando direttamente un valloncello di pietre ed erbe e si raggiunge la piccola conca ove si trova il Lago Venere 2408 m. Lambita la sponda destra del lago si piega un poco a sinistra e si risale il pendio erboso alle spalle del lago per superare una barriera rocciosa oltre la quale si apre una conca morenica (il sentiero originale si tiene invece un po' più sulla destra).
Piegando a destra si raggiunge di nuovo il tracciato segnalato che porta alla base di un ripidissimo pendio di pietrame chiuso in alto da una barriera di roccette. Anche in questo caso, per la salita è forse più conveniente tenersi sui grossi e stabili pietroni a sinistra del sentiero e raccordarsi ad esso solo nell'evidente strozzatura che incide la barriera rocciosa.
Dalla strozzatura, con percorso ripidissimo, si guadagnano infine le pietraie che preludono al Passo di Vermolera e che si percorrono con un mezza costa verso destra (ometti e segnaletica) fino al valico. Da qui è possibile raggiungere facilmente la cima della Quota 2852 risalendo verso sinistra (tenendosi preferibilmente sul lato destro - versante Sud-Est) il suo largo e detritico crinale Nord-Ovest.
Antonio Cederna nacque a Ponte Valtellina il 3 giugno 1841. A soli 25 anni acquistò un industria cotoniera a Milano dando il via alla sua carriera di industriale e di uomo pubblico che lo porterà ad occuparsi della soluzione di molteplici problemi nel campo del lavoro e dell'economia.
Grande amante della natura e della montagna, iniziò fin da giovane a praticare l'allora nascente attività dell'alpinismo dedicandosi allo studio e alla descrizione dei gruppi montuosi meno noti ed esplorati. A seguito delle sue "campagne", produsse una notevole mole di lavori a carattere geografico-alpinistico. Fra i suoi studi più importanti si ricorda in particolare quello sui monti della Val Grosina comparso sul Bollettino del CAI del 1891 e arricchito da una splendida cartina 1:75.000 curata dall'autore.
Nel corso della campagna esplorativa fra i monti di Val Grosina il 18 agosto 1889 con la fida Guida Krapacher di Premadio, detto "todeschin", il Cederna saliva la Cima Viola seconda vetta per altezza del massiccio. Eccone il racconto: "...A Grosio avevo sentito dire da parecchi che le tre cime sovrastanti al Lago Spalmo fossero state salite dal loro concittadino dott. Sassella, socio della Sezione Valtellinese del C. A. I. alpinista ardito e originale che saliva i monti solo soletto, correndo talvolta gravi pericoli, senza curarsi poi di dare notizia delle sue ascensioni. Giungendo sulla vetta di cui discorro, da un mucchio di pietre, che emergevano dalla neve, mi accorsi che altri ci doveva essere stato e allorquando, rimossi alcuni sassi e trovata una scatola di latta, riuscii a decifrare su un biglietto quasi distrutto dall'umidità il nome del dott. Sassella, baciai e ribaciai quel pezzetto di carta. Fra le tante cime dei monti di Val Grosina, almeno una era stata salita per la prima volta da un italiano; al quale rendo oggi il meritato onore! ...Da questo culmine il mio sguardo piombava, senza iperbole, sul Lago Spalmo che alla distanza di 874 metri (di dislivello NdA) sembrava uno specchio di smeraldo.... ed io mi dimenticavo di me stesso lassù, come dice S. Agostino nell'ottavo capitolo del libro X."
Interessante e indicativo del modo di pensare del Cederna, assai moderno e lungimirante per i quei tempi, è anche ciò che egli scrive, a proposito del patrimonio ambientale della Val Grosina che, nell'800, aveva subito un rovinoso depauperamento: "...S'immagini ora il lettore l'aspetto di questa valle, che misura così all'ingrosso una superficie di circa 145 chilometri quadrati, in sulla fine del secolo scorso, allorquando folti boschi di betulle e di faggi accompagnavano il Roasco fino all'Adda, e, più in su, i larici e gli abeti rivestivano i monti fino all'altezza di 2500 metri, scendendo a circondare misteriosamente i numerosi laghi e non cedendo che davanti alla brezza tagliente dei ghiacciai che in quell'epoca coprivano la testata delle tre grandi convalli. Più tardi, questi boschi dovettero cedere ai colpi dell'avida scure e la loro riproduzione fu contrastata dall'ignoranza d'ogni criterio in fatto di silvicoltura e di climatologia, e da quella bestiolina ghiottona, che é la capra. S'immagini queste immense foreste, animate da miriadi d'uccelli, da eserciti di svelti scoiattoli, da squadre di lepri veloci, dal feroce gatto selvatico, da truppe di lupi e dai filosofi di tutti i tempi, gli orsi lenti e dignitosi. Che dire poi dei camosci e dell'esiliato stambecco? Tutto scomparso, meno qualche camoscio che il wetterly (modello di fucile. NdA) non tarderà a distruggere se non si legiferano provvedimenti rigorosi ed efficaci. Tutto é scomparso, e pensi il lettore se quanto accaduto qui ed altrove sia stato veramente un progresso; se dopo un secolo gli abitanti di questa e altre simili regioni abbiano migliorate le proprie sorti, oppure se non si debba deplorare che essi, avendo violentato le provvidenziali armonie della natura, si trovino ora costretti a emigrare o a sottomettersi a gravosi lavori per guadagnare di che coprirsi e di che sfamarsi!"