Dalla chiesa di Malghera proseguire per la sterrata che, alle sue spalle, s'inoltra nell'alta Val di Sacco e, in breve, raggiunge la Casera di Sacco. Da qui si scende, a destra, su una stradicciola che traversa il torrente di fondovalle su un ponte e prosegue in lieve salita sul versante opposto fino alla baita di Mandre Vecchie 2063 m. Da qui si sale verso destra per pascolo fino ad un minuscolo baitello di pietra posto ai piedi di una fascia rocciosa. Il sentiero devia ora a sinistra per aggirare le rocce e, con un'ampia curva sul margine superiore di un dirupato vallone, arriva sul vasto pianoro erboso di Pian di Lago 2316 m. Con una breve deviazione a destra si raggiunge una bella baita di legno e, poco oltre, il lago. Ritornati sui nostri passi traversiamo verso Nord-est i pianori torbosi dominati, a destra, da una piccola fascia rocciosa. In breve, su traccia di sentiero assai incerta, arriviamo sul ripiano superiore di Piansortivo 2350 m circa, al cui margine orientale si trovano due laghi, mentre poco a Ovest sorge una minuscolo, quasi invisibile, baitello di pietra. Ci troviamo alla base del vallone detritico compreso fra il Dosso Sabbione a Nord e il Pizzo Matto a Sud. Tale vallone è delimitato da due lunghe creste rocciose di cui quella settentrionale termina con un torrioncino roccioso quotato 2710 m. Da Piansortivo si sale su traccia per pascolo verso Nord, puntando ad un grande ometto visibile su un poggio erboso, alla base del torrioncino roccioso sopra descritto. Senza raggiungere l'ometto, si aggira a sinistra il poggio e si sbuca nella conca dove si trova il suggestivo Lago Scarpellino 2480 m. Si lambisce la sponda del lago, a sinistra, e si imbocca una traccia che, grazie ad un sistema di larghe cenge, taglia un settore più roccioso oltre il quale si perviene ad una zona di detriti da dove è visibile, poco più avanti, un altro grande ometto. A questo punto vi sono due possibilità:
a) dirigersi verso l'ometto e poi compiere un ampio tornante piegando verso Est salendo su rada traccia; quindi, tenendosi ai piedi di una serie di basse fasce rocciose, giungere poco a monte di un ripiano che ospita ben sei minuscoli laghetti;
b)abbandonare la traccia circa 400 meri dopo il Lago Scarpellino per salire a destra un ripido pendio che, in breve, permette di arrivare ad un'altra conca dove s'annida un bellissimo laghetto senza nome posto a 2500 m circa. Da qui si prosegue su ripidissimo pendio tenendosi nei pressi del torrentello che alimenta il laghetto. Quest'altro tratto porta sullo spalto dove si trovano i sei laghetti descritti in a). Portandosi ora ai piedi della fascia rocciosa, che sovrasta i sei laghetti sulla sinistra, ci si ricollega con il percorso normale.
Con faticosa salita diagonale verso destra (Est) si guadagna quota su sfasciumi portandosi sotto una fascia rocciosa più importante. Se ne lambisce il piede finché è possibile imboccare una serie di facili passaggi che, verso sinistra, portano alla sua sommità. Scavalcata la fascia rocciosa si entra in una sorta di leggero avvallamento (neve ad inizio stagione) che si risale direttamente o per la leggera dorsale di facili roccette che lo delimita a sinistra. Si raggiunge così lo spartiacque con la Val d'Avedo da dove s'ammira un panorama mozzafiato sul sottostante Lago Negro e sulla Cima Viola. Si sale ora verso sinistra la facile cresta detritica arrivando al grande ometto del Pizzo Ricolda già ben visibile da Piansortivo.
La gita che descriviamo in questa puntata s svolge in uno degli ambienti meno noti e frequentati delle Alpi retiche valtellinesi. Pochi, infatti, conoscono le montagne del massiccio Cima Viola - Cima di Piazzi sia perché si è sempre più attratti dalle località più celebri, sia perché esiste ben poca documentazione in merito. Eppure queste cime, le cui vette maggiori superano di molto i 3000 metri, con ghiacciai e alte pareti, offrono uno degli ambienti alpini più vari e suggestivi che si possano immaginare.
Dalle vette maggiori che danno il nome alla regione, si originano due grandi vallate, la Val Viola bormina a Nord e la Val Grosina a Sud, quest'ultima, di gran lunga la più importante, sbocca sul fondovalle valtellinese all'altezza di Grosio. L'escursione decritta di seguito prende le mosse da Malghera, ultimo gruppo di dimore posto quasi in fondo alla Val di Sacco, diramazione occidentale della Val Grosina.
La prima cosa che colpisce il visitatore che per la prima volta si addentra in queste vallate è il verde: è veramente il colore dominante e le sue ultime chiazze si spingono assai in alto, a colonizzare anche le ripide pareti rocciose.
Altra caratteristica che si svela man mano procediamo è la grande abbondanza di laghetti alpini d'ogni forma e dimensione che occupano le conche moreniche d'alta quota ingentilendo il paesaggio circostante che, oltre i 2500 m è molto aspro e dirupato.
Barriere rocciose difendono gradini di sovraescavazione glaciale, minuscoli circhi detritici s'annidano più in alto, addossati alle rocciose creste sommitali e poi ecco le vette. Le creste che vi portano hanno spesso profili, tormentati, dalle forme curiose e bizzarre; apparentemente sembrano cpmposte da rocce instabili ma il più delle volte è solo un'impressione. Chi volesse cimentarsi con qualche ascensione su queste cime troverà la piacevole sorpresa di arrampicare su un solido gneiss che solo al margine orientale del massiccio diventa un po' più precario e meno piacevole da scalarsi.
Il grande numero di laghetti che s'incontrano durante la gita verso il Pizzo Ricolda ha suscitato in noi il desiderio di provare ad approfondire un po' l'argomento. Non faremo un trattato di limnologia alpina, cioè di studio scientifico dei laghi alpini, ma proveremo a fornire qualche informazione che speriamo possa incuriosire.
I laghetti alpini d'alta quota sono quasi tutti d'origine glaciale e occupano avvallamenti di gradini sovra escavati dagli antichi ghiacciai del Quaternario, oppure conche moreniche formatesi al ritiro dei ghiacci. Alimentati prevalentemente dalle acque di fusione dei nevai, queste splendide perle liquide ravvivano spesso anche gli ambienti più ostili e desolati. Ma essi non sono solo un impareggiabile elemento del paesaggio alpino: le loro acque rappresentano anche un interessante serbatoio di informazioni scientifiche. Poco o nulla influenzati dalla presenza di attività umane, i laghetti alpini vivono quasi in uno splendido isolamento e, quindi, l'analisi chimica delle loro acque può fornire dati molto attendibili sulle condizioni dell'inquinamento atmosferico. Le nubi cariche di umidità corrono sulle pianure e nelle valli abitate dall'uomo; nella loro corsa accumulano altro vapore e, una volta raggiunte le alte creste, vi s'impigliano, scaricando con la pioggia o la neve, anche quanto hanno raccolto nel loro viaggio. Disciolti nell'acqua si trovano, infatti, tutti i veleni della nostra civiltà che, seppure in quantità esigue, vanno ad "arricchire" le limpide acque.
Se un ghiacciaio conserva nei suoi strati una sorta di archivio ibernato delle condizioni atmosferiche che può arrivare ad epoche assai lontane, i dati forniti dall'analisi delle acque di un laghetto alpino sono più limitati nella loro estensione temporale e si riferiscono soprattutto alle annate precedenti a quella dei prelievi. Numerose campagne scientifiche hanno evidenziato, in questi ultimi anni, un aumento nel tasso di acidità delle acque. Tale incremento è, in gran parte, dovuto agli apporti inquinanti giunti alle alte quote attraverso le precipitazioni. In altri laghi si è invece riscontrata una bassissima alcalinità, porta aperta verso una potenziale, facile e rapida acidificazione del lago.
Altri studi scientifici hanno rivolto la loro attenzione alla flora e alla fauna lacustri anche se non è facile trovare uno specchio d'acqua che sia rimasto completamete immune da interferenze esterne come possono essere la semina dei pesci o la vicinanza di attività zootecniche che, si è scoperto, hanno portato, in molti casi, ad una più o meno grave devitalizzazione dei bacini.