All'uscita di Grosotto in direzione di Grosio, poco dopo il ponte sul Roasco, s'incontra sulla sinistra il piazzale parcheggio acciottolato posto all'ingresso del Parco delle Incisioni Rupestri. Lasciata l'auto s'imbocca una stradina sterrata che s'inoltra pianeggiante in un rado castagneto, fiancheggiando la sponda sinistra orografica del Roasco. Passata una galleria la strada sfila alle spalle della rupe dove sorgono i castelli di San Faustino e Visconti Venosta o Castello Nuovo, per poi lambire la liscia roccia della Rupe Magna (incisioni rupestri). Con una serie di ampie curve la sterrata prende, infine, decisamente quota immettendosi sulla carrozzabile per la Val Grosina. Lasciate a sinistra le indicazioni per Fusino ed Eita si piega a destra entrando nel paese di Ravoledo 864 m (è possibile risparmiarsi la pur suggestiva prima parte della salita arrivando a Ravoledo in auto percorrendo la strada della Val grosina che si imbocca nel centro di Grosio). Entrati in paese si lascia a sinistra la deviazione per Fusino ed Eita e si percorre la via Pizzo Dosdè che, con un'ampia curva, ci porta sul piazzale antistante la chiesa parrocchiale di Cristo Re. Da qui, imboccando un viottolo sulla destra, si sale in Via Roasco per sbucare poco dopo sulla carrozzabile della Val Grosina (questa soluzione consente di tagliare un lungo tornante che la strada disegna in questo tratto). Si piega ora a sinistra, per poche decine di metri, fino all'ingresso di una larga mulattiera acciottolata segnalata da un grande crocifisso. Si devia a destra e si percorre la mulattiera, quasi una larga stradina, che sfila a monte del cimitero e della chiesa di San Gregorio Magno. Con un ampio tornante la mulattiera volge ora a sinistra e guadagna quota fra terrazzamenti e un rado bosco di castagno. Su una roccia, al margine destro del tracciato, si trova una piccola croce di ferro qui apposta dai Grosini in ricordo dei caduti della Grande Guerra; poco dopo si passa fra le case di Bedognolo 942 m (con minor fatica vi si può giungere percorrendo in auto la carrozzabile della Val Grosina e parcheggiando al secondo tornante dopo Ravoledo per imboccare una sterrata che scende verso sinistra). Superato questo piccolo nucleo di dimore rurali si prosegue, con piacevole camminata, giungendo a lambire il monumentale tronco del castagno meta principale della giornata. La salita prosegue costante e abbastanza ripida finché si giunge alle abitazioni che sorgono poco a valle della chiesetta di San Giacomo 1054 m, situata sul ciglio sinistro della strada per la Val Grosina. La discesa può essere effettuata lungo la via di salita, oppure lungo la carrozzabile della Val Grosina con percorso un po' più lungo ma agevolissimo e piacevole.
Come al solito la gita si dovrà concludere nella maniera più degna, e cioè in un buon ristorante locale. Fra Grosio e Grosotto ce ne sono molti, alcuni dei quali sono annoverati fra i migliori in Valtellina.
Per chi volesse qualcosa di più "alpino" possiamo consigliare l'Albergo Valgrosina che si trova nella valle, poco dopo San Giacomo, in località Fusino (tel. 347-2547853).
Il tratto di Valtellina, fra Tirano a Sondalo, è spesso trascurato turisticamente pur essendo uno dei più interessanti e ricchi di storia di tutto il territorio. Già in alcune nostre puntate abbiamo parlato di dei paesi di Lovero e Mazzo, della Rupe Magna di Grosio e di questo importante paese. Ancora una volta, e con piacere, vogliamo portarVi in questi luoghi lungo un inconsueto ma piacevolissimo itinerario che si snoda fra Grosotto e Grosio, risalendo alle porte della Val Grosina. Si tratta di una gita che si svolge per gran parte lungo stradine di campagna e mulattiere, dove testimonianze storiche e aspetti naturalistici si fondono in ugual misura.
Meta principale della passeggiata, che può essere impostata in diversi modi, è la visita all'albero monumentale più grande della provincia di Sondrio, una grandioso castagno che tenacemente sopravvive, è il caso di usare questo termine, al margine della mulattiera che da Ravoledo porta alla chiesetta di San Giacomo.
Chi passa distrattamente sulla mulattiera che collega Ravoledo a San Giacomo, specialmente se la percorre in discesa, potrebbe ad un certo punto vedere un roccione da cui spuntano alcune pianticelle di castagno. È stata un po' questa l'impressione che abbiamo avuto passando accanto al grande castagno di Bedognolo: il suo tronco è tanto largo e segnato dal tempo che pare una roccia. Ma bastano pochi metri per accorgersi dell'abbaglio: cambiato angolo di visuale ci si rende subito conto di trovarsi di fronte ad una pianta dalle dimensioni eccezionali e non ad una roccia affiorante. E assieme al grande tronco appiano evidenti anche i danni che, probabilmente non solo da oggi, gli uomini hanno arrecato al "patriarca". Alla base del castagno si apre infatti una grande cavità che porta i segni del fuoco: qualcuno, sfruttando uno spazio vuoto già esistente ha tentato di bruciare il tronco dal suo interno, fortunatamente senza riuscirvi.
Diversamente dal "Centun" o "Ciantun" di Monastero (l'etimologia incerta può essere nel primo caso un riferimento all'età della pianta, nel secondo alle sue dimensioni), altro storico castagno di cui abbiamo avuto occasione di narrare o del gelso bianco di Ponte in Valtellina, il castagno grosino non pare avere un nome o una storia che lo leghino alla tradizione locale. Eppure le sue dimensioni, la sua venerabile età, giustificherebbero la nascita di storie e leggende. Ma forse i grosini sono gente molto pragmatica e diretta, poco propensa a romantiche fantasie ché la campagna vuole lavoro dedizione e sacrificio. Fra le case di Bedognolo, dove sopravvivono gli antichi tradizionali lavori dei montanari, abbiamo chiesto a una "regiura", una signora, senza avere molta soddisfazione. La pianta e lì da sempre, "da che mi ricordo - ci disse (e ci mancherebbe) - e molti hanno cercato di tagliarla, ma non ci sono riusciti e adesso la Forestale ha posto il divieto assoluto di toccarla. Un po' l'hanno rovinata perché è come il "teo", - l'abete rosso in dialetto grosino - ma se quello dalle ferite emette la "rasa" - la resina - il castagno emette sostanze acide che non gli hanno giovato."
Gli uomini hanno tentato di appiccare fuoco al tronco, hanno usato l'accetta o le seghe e non certo perché serviva legna, tanti sono i boschi attorno. Più probabilmente dava fastidio la longevità di questo essere, faceva paura la sua capacità di sfidare i secoli sfuggendo al tempo che inesorabilmente regola la vita degli uomini. Così, con la cattiveria tipica della nostra specie e con furia iconoclasta, spesso mascherata dai più nobili sentimenti, alcuni si sono accaniti contro questo monumento vegetale. Fortunatamente il castagno ha resistito, ma porta, e pesanti, i segni degli attacchi che se non l'hanno fatto morire, l'hanno notevolmente indebolito. E da quell'enorme tronco che pare una roccia, spuntano nuovi virgulti, alcuni dei quali già abbastanza sviluppati, segno che il "nostro" castagno non ha assolutamente voglia di abbandonare il ciglio della mulattiera per San Giacomo. Non sappiamo dire con esattezza quale sia l'a sua età, ma per confronto con altre piante monumentali potremmo ipotizzare che i suoi primi germogli siano sbocciati circa 800 anni or sono. Oggi la pianta ha una circonferenza di ben 12 metri con un diametro medio di 6,28 metri e un'altezza di 10 metri; chissà quanti viandanti sono passati sotto le sue fronde, si sono fermati a riposare, hanno gustato le sue castagne nel periodo autunnale.
Già anticamente c'erano due strade che permettevano di entrare nella Val Grosina. La prima saliva da Grosio, percorrendo il versante sinistro orografico della soglia valliva e, dopo aver superato il paese di Ravoledo, toccava Bedognolo e San Giacomo per poi entrare in valle. La costruizione della moderna carrozzabile ha poi alzato il percorso che oggi evita Bedognolo passando poco a monte.
Un secondo accesso alla valle, oggi poco più di un viottolo secondario ad uso agricolo e descritto nel nostro itinerario, iniziava alle porte di Grosotto e si collegava al precedente all'altezza di Ravoledo. Questo paese, sicuramente antico, ha subìto pesanti interventi di edilizia povera e a volte sommaria, che ne hanno sicuramente snaturato il tessuto urbano, Tuttavia per la posizione panoramica, arroccato su un poggio sovrastante Grosio, Ravoledo colpisce immediatamente l'occhio di chi passa sul fondovalle anche grazie alla notevole mole della sua chiesa parrocchiale di Cristo Re, edificio novecentesco che sorge al centro del paese.
Da Ravoledo la vecchia strada per la Val Grosina lambisce il cimitero e l'altra chiesa del paese, quella di San Gregorio Magno, l'antica parrocchiale risalente al XV secolo, affiancata da un ossario e da un oratorio. Sia la lunetta sovrastante l'ingresso, sia gli affreschi che decorano il catino dell'abside e l'altare laterale sono di Cipriano Valorsa (1515?-1604), il maggiore artista rinascimentale valtellinese, originario di Grosio.
Un'ultima chiesetta segna la fine della gita, quella di San Giacomo Maggiore Apostolo. Si tratta di un modesto edificio risalente al XV secolo, ma che potrebbe essere stato eretto su una struttura ancora più antica. Un minuscolo campanile a vela sormonta il timpano della facciata; attualmente l'interno è quasi completamente spoglio. Come molte cappelle votive o chiesette di montagna, anche questa si lega strettamente al percorso su cui si trova. Sorge al termine della lunga salita che si deve affrontare dal fondovalle e all'inizio del lungo tratto pianeggiante che porta nel cuore della Val Grosina. Segnava, quindi, un momento di sosta e anche, se vogliamo, di ringraziamento per una tappa raggiunta. Chi giungeva qui da Nord, dopo un viaggio sicuramente avventuroso, vedeva aprirsi, con sollievo, le porte verso un mondo più amico e accogliente. Chi procedeva in senso opposto trovava da questo luogo, oltre che un punto ove riposare e ristorarsi, la forza spirituale per andare avanti nel lungo cammino.
Ricordiamo che i viandanti che arrivavano a Grosio dalla Valtellina o dopo aver traversato il Passo del Mortirolo, trovavano nella Val Grosina una direttrice ideale per proseguire il viaggio verso i Grigioni e, quindi, l'Europa centrale.