Dal parcheggio antistante la chiesetta eretta a ricordo dei Caduti che sorge presso il Passo Forcora si traversa la strada e ci si porta verso Nord-est al margine dei prati dove si trova un impianto di sci. Sulla destra (cartello indicatore) si diparte pianeggiante la strada sterrata per Monterecchio. Si imbocca la rotabile iniziando un lungo tratto a mezza costa che percorre il versante meridionale del Monte Sirti. Lasciata sulla destra la deviazione per l'Alpe Cangei la strada prende a salire dolcemente e con belle aperture panoramiche entra in un valloncello. Il toponimo Cangei, (i Cangèi di Armio, i Cangèi di Biegno) deriva da "cancellum", recinto o riparo per il bestiame, ed è legato ad una delle più importanti fonti di sussistenza dell'antica economia di valle, quella pastorale.
Traversatane la testata, con un'ultima piega verso destra si arriva infine presso le belle baite di Monterecchio. Portandosi oltre l'abitato si trascura una stradina che prosegue dritta e, in corrispondenza di una cappelletta, si piega a sinistra. Si sale un largo sentierone sconnesso che porta in breve sul crinale sovrastante Monterecchio, in corrispondenza di una sella ove si trovano alcuni cartelli segnavia.
Si prosegue ora la salita verso destra seguendo il sentiero che sale a tornanti sulle pendici oramai prive di vegetazione d'alto fusto. Si raggiunge quasi la cima del tondeggiante monte che domina Monterecchio e la si aggira verso sinistra (segnaletica ottima e abbondante) iniziando un tratto a mezza costa che punta verso Nord per giungere all'ampia sella prativa posta ai piedi del breve versante Sud del Monte Covreto. Qui si devia a destra e sempre per sentiero semi pianeggiante si percorre una sorta di spalto panoramico affacciato sulla Val Veddasca. Poco dopo il sentiero torna sul crinale che segue fedelmente fino al Monte Paglione la cui vetta è indicata da un cartello escursionistico.
Al ritorno, poco dopo aver lasciato la cima si può tagliare brevemente a destra e seguire integralmente il crinale raggiungendo la cima del Monte Covreto 1584 da dove scendendo a sinistra si torna sul sentiero di andata. Una volta toccata la sella sovrastante Monterecchio si prosegue lungo l'ampia dorsale che porta sul Monte Sirti da dove il sentiero scende ripido nel bosco di betulle e porta sul prato.
Oltre alla piacevole passeggiata che vi porterà sulla cima, di notevole interesse è anche la risalita della lunga Val Veddasca, stretto e selvaggio solco percorso dal torrente Giona, che offre scorci panoramici inconsueti. La vallata ha origine in territorio elvetico dal piccolo anfiteatro montano che va dal Monte Gradiccioli a Sud-est al Monte Gambarogno a Nord-ovest, passando per la cima del Monte Tamaro 1961 m, una delle vette più note del Canton Ticino. Tuttavia, quasi tutto il profondo solco scavato nei millenni dal Giona si trova in territorio italiano.
Due strette e tortuose carrozzabili percorrono gli opposti versanti della valle, ma non entrano in collegamento fra di loro: sul lato sinistro orografico sorgono l'importante paese di Curiglia e, non raggiunto da alcuna strada, il grosso borgo alpestre di Monteviasco. Assai più antropizzato è il ripido versante destro della valle, quello anche maggiormente favorito dall'esposizione al sole.
Lasciato Maccagno, lungo il tragitto si succedono i paesi di Veddo, dove transita l'antica mulattiera a scalinata che collega la riva del lago con la valle, Garabiolo, Cadero, Graglio, Armio, Lozzo e Biegno. I primi due villaggi fanno parte del Comune di Maccagno, quelli più interni nella valle hanno formato il Comune di Veddasca con sede in Armio.
La storia degli insediamenti umani nella valle è molto antica come dimostrano i ritrovamenti di graffiti preistorici.
Veddasca è un nome composto, formato dal tipico suffisso celtico o ligure-celtico "asca", che indica dipendenza, in questo caso da Veddo, la frazione posta all'imbocco della valle; Veddo deriva invece da "véd", "evéd", abete.
Curiosamente, i villaggi della Valle Veddasca furono in origine legati alla Pieve di Cannóbio, paese della sponda opposta del Verbano e come risulta da documenti del XII XIII secolo, erano già riuniti in una comunità di valle che amministrava i pascoli comuni e i rapporti con l'esterno. A partire dal XV secolo, Maccagno e la Valle Veddasca confluirono nella Pieve di Travaglia e dal 1836 in poi appartennero al vicariato di Luino.
Questa valle solitaria, selvaggia e difficile ha dato i natali a generazioni di emigranti, molti dei quali si distinsero in svariati campi. Particolarmente apprezzati erano i costruttori di forni per il pane della Val Veddasca, ma personaggi come Gaspare Catenazzi da Lozzo, che nella seconda metà del '700 lavorò alla cupola del Duomo di Pavia, seppero giungere ancor più in alto.
Il Monte Paglione, meta della nostra gita è una delle tante sommità per lo più erbose che punteggiano il lungo crinale spartiacque fra la Val Veddasca e la sponda orientale del Lago Maggiore. L'importanza di questa cima è legata principalmente allo splendido panorama che vi si può godere e al fatto che segna l'estremo limite settentrionale del confine italiano in provincia di Varese. A Sud-est della vetta si apre, infatti, il valico di Indemini tramite il quale la carrozzabile che percorre la destra orografica della Val Veddasca entra in Svizzera per giungere sulle rive del Lago Maggiore nei pressi di Magadino.
La salita in bicicletta della carrozzabile che da Maccagno giunge al valico di Indemini è una grande classica del ciclismo locale.