Escursioni - Il Pizzo Tornello

Contenuto della pagina: scheda completa del percorso «Il Pizzo Tornello»

  1. Scheda
  2. Percorso
  3. Approfondimento
 
  • Zona: Val Seriana
  • Tipo: Escursione
  • Sigla: E-105
  • Periodo consigliato: da giugno ad ottobre
  • Punto di partenza: Chiesa di Vilmaggiore 1086 m. Vilmaggiore si raggiunge da Darfo Boario Terme percorrendo la carrozzabile della Valle di Scalve fino a Dezzo e proseguendo oltre per pochi chilometri deviando poi a sinistra. In alternativa vi si giunge da Bergamo con la carrozzabile della Valle Seriana. Valicato il Passo della Presolana si scende a Dezzo e da qui come per la soluzione precedente. Fino a Clusone Bus Linea E15, Bergamo-Clusone-Bratto oppure Linea Bus Autostradale E25, Milano-Passo della Presolana. Servizio bus da Lovere per Clusone, linea E43 Bergamo Trasporti Est. Da Clusone coincidenza linea Bus E24a Clusone-Schilpario.
  • Tempo di percorrenza: 7-8 ore
  • Dislivello: 1600 m
  • Difficoltà: E (Escursionistica)
  • Bibliografia: Pezzotta A., Duemila bergamaschi, Ed. Villadiseriane, Villa di Serio (Bg), 2007; D'Adda S., Escursionismo nelle Valli Bergamasche, Lyasis Edizioni, Sondrio, 1997; AA.VV. Pionierismo sulle Orobie dal 1870 al 1900, Edizioni BolisCAI Bergamo, Bergamo 1993
  • Guide e carte: Escursionistica Kompass 1:50.000 n° 94 «Edolo-Aprica»
  • Informazioni locali: Salita di grande fascino per la suggestione dei luoghi, solitari, grandiosi e selvaggi. Lunga camminata di grande soddisfazione che non consente troppe soste se si esclude quella inevitabile presso il Lago Varro. Sentiero sempre ben segnalato e ben tracciato.
 



 
mappa di Il Pizzo Tornello

Percorso

Dalla Chiesa di Vilmaggiore seguire per pochi metri la carrozzabile in direzione di Vilminore ed imboccare sulla destra un sentiero (cartelli escursionistici) che taglia a mezza costa per i prati, e poi entra nel bosco e sale ad intercettare un sentiero proveniente da destra e, pochi metri dopo, una larga carrareccia. Volgiamo a sinistra sulla carrareccia e, sfilando sotto alcune rupi, trascuriamo una deviazione a sinistra per proseguire rasentando un grosso masso con una cappelletta alla Madonna, sormontato da un ometto. Saliamo la carrareccia quindi lasciamo a sinistra la deviazione del sentiero n° 432 e proseguiamo sul sentiero n° 412 per il Lago Varro ed il Tornello. Per la carrareccia o per il sentierino alla sua destra si guadagna quota inerpicandosi poi con alcuni tornanti scanditi da gradini di legno.
Si va quindi a sinistra (segnali ottimi), fino ad alcune roccette che si scavalcano per scendere di poco fino ad avvicinarsi al letto del torrente traversato qui da un suggestivo ponticello di legno. Senza arrivare al ponte continuiamo a salire sulla destra nel ripido bosco che gradualmente si fa più rado, sostituito da un ripido declivio a balze che percorriamo (segnali ed ometti) fino al bivio ove un cartello indica la direzione per baita Varro. Seguiamo questa diramazione e, con un paio di lunghi diagonali arriviamo al roccione, sotto il quale si trova la baita alle cui spalle il sentiero si biforca.
Prendiamo a destra per il Lago Varro (a sinistra deviazione per il Lago di Cornalta) e, con un ultimo diagonale a sinistra, arriviamo ad un grandissimo ometto di pietra. Più oltre, ancora per pascolo, si tocca infine l'orlo della conca che ospita il Lago Varro. Prendiamo a sinistra e con andamento irregolare aggiriamo le sponde del lago per portarci sui pendii rocciosi alle sue spalle (qui dalla viva roccia sgorga una fonte naturale).
Continuiamo poi verso destra salendo faticose chine fra rocce e detriti, puntando alla sella fra il Monte Tornone a destra ed il Pizzo Tonello, di cui è già visibile la croce di vetta, a sinistra. Saliamo il detritico pendio che porta alla sella grazie ad un sentierino a tornanti. Una volta sul crinale,ci portiamo sul versante orientale della cresta e proseguiamo la salita verso sinistra, riportandoci in cresta solo poche decine di metri prima della croce di vetta.

Il Pizzo Tornello

Il Pizzo Tornello è un'imponente quanto poco nota montagna orobica che come un gigantesco e regolare cono torreggia sulla Valle di Scalve, costituendone anche la vetta di maggiore altezza.
Per quanto alta ed imponente, la montagna non presenta versanti particolarmente difficili o dirupati e può essere salita agevolmente da tutti i lati purché si sia disposti ad affrontare una lunga camminata.
Da qualunque parte si voglia iniziare la gita, il dislivello supera abbondantemente i 1500 metri, richiedendo dunque un solido allenamento, anche per la mancanza di punti di sosta attrezzati lungo il percorso.
Forse per questo motivo il Tornello è meta di pochi escursionisti DOC, amanti delle solitudini, delle fatiche e di panorami inconsueti. La salita lungo la ripida Valle di Tino, nelle cui parte superiore si trovano i laghi Varro e Cornalta, non concede tregua, ma l'arrivo nella piccola conca dove s'annida il Lago Varro merita da sola la fatica.
Il lago è una gemma dagli scuri colori cangianti, un piccolo cristallo incastonato in un deserto detritico ai piedi della cima.
Per la facilità di accesso e per l'esteso panorama che si può ammirare dalla vetta, il Tornello è stata una delle prime cime orobiche ad essere "prese di mira" dai pionieri dell'alpinismo italiano. Proprio per la sua particolare posizione, dalla vetta si ha uno splendido colpo d'occhio che va dalle Alpi Retiche all'Adamello, dalle Orobie a tutte le Prealpi Bergamasche e Bresciane.
Non sappiamo chi ne raggiunse la vetta per primo, probabilmente qualche cacciatore di camosci di Schilpario o di Vilminore, tuttavia ci resta una gustosa descrizione fatta nel 1874 dal Signor G. Torri; un raccontino a volte esilarante, altre volte involontariamente suggeritore di spunti meditativi. Si tratta comunque di un fedele specchio di quei tempi, di com'era la montagna, di come l'uomo si rapportava alla natura e di come si attrezzava per affrontarne le difficoltà ed i disagi.

1874 una spedizione al Pizzo Tornello

La spedizione era di quelle importanti: composta da soci delle Sezioni CAI di diverse città, era capeggiata nientemeno che dall'Abate Stoppani, rivoltoso nelle Cinque Giornate di Milano, mostro sacro del neonato alpinismo italico, presidente della Sezione di Milano del CAI, scienziato di fama ed abile comunicatore. Forse perché ormai cinquantenne, forse distratto dalle ricerche geologiche presso le miniere della Valle di Scalve, l'Abate non seguì gli alpinisti, preferendo starsene a valle. Un primo gruppo partì da Vilminore alle quattro del mattino e la descrizione dei suoi componenti è uno dei pezzi più significativi e umoristici del Torri: "Ho accennato a sette compagni, convien quindi che li presenti ai lettori: 1° il signor Torri, bergamasco puro sangue, alto ed aitante e rubizzo, vestito alla leggiera di tela fatta appositamente venire per lui dall'Inghilterra; 2° il marchese Rosales, comasco, rappresentante la Sezione di Sondrio del Club Alpino Italiano, elegante e gentile, buon cacciatore di camosci e giovane ancora a dispetto de' capelli tendenti al grigio; 3° Monti, ex ufficiale di cavalleria, milanese, altissimo e bronzato, con lente fissa all'occhio destro, buona gamba ed allegro molto; 4° il dottore Dell'Acqua, altro milanese, gioviale e ben portante; 5° e 6° due fratelli Curletti, giovani e buoni camminatori entrambi, dimoranti il primo a Milano ed il secondo a Treviglio; 7° l'inseparabile amico mio Rossetti, neo alpinista d'Iseo e futuro Socio della futura Sezione di Brescia.
Conviene ora che presenti l'ottavo. L'ottavo sono io in persona, rappresentante alla escursione della Sezione di Biella, alto 1,86 e piuttosto asciutto, sacco in ispalla, barometro aneroide, binoccolo e fiaschetta con curaçao a bandoliera, scarponi a modello Sella, copertura del capo uguale a quella che Ricotti diede ai soldati delle compagnie alpine, colla variante della piuma di fagiano in luogo della penna di gallo o d'aquila, e con suvvi gran velo e placca, distintivo d'argento del peso di 27 grammi, coniato dalla Sezione di Napoli, e da non confondersi con quella dei fratelli Tensi di Milano, assai più leggiera, elegante e meno costosa. Infine una pesante picca, che, derisa dapprima, fu onorata dappoi, come in progresso di tempo potrete vedere. Mi diffusi un pochino nella presentazione de' miei compagni (me compreso), poiché stimo questa essenzialissima cosa in fatto d'alpinismo. Ma qui basterebbe, se non dovessi aggiungere la guida, un buon diavolo, cacciatore di camosci per professione, pratico assai de' sentieri e passaggi alpini, certo Soliani Luca, di Vilmaggiore, frazione di Vilminore."
Ai nostri occhi di moderni lettori, le poetiche descrizioni dell'ambiente fatte durante la salita stridono fortemente con il racconto in cui la guida descrive, come se nulla fosse, un episodio di caccia avvenuto in quei luoghi: "Intanto la nostra guida facevaci osservare come sulla tale o tal altra roccia egli aveva ammazzato un camoscio. - L'anno scorso, fra le altre volte, ci disse, là su quella parete vidi un camoscio ed un camoscetto alla pastura. M'appressai coi debiti riguardi. Lasciai scattare il fucile, la madre cadde al basso della parete mortalmente colpita, ed il figlio spaventato la seguì, e là sotto ambedue raccolsi, morta la madre, ancor vivo il figlio -."
Comunque sia, dopo alterne peripezie il gruppo si spinge finalmente nei pressi della cima del Tornello e mentre la guida si danna per star dietro cogli occhi ad un camoscio, i nostri signori estirpano fiori rari dal pascolo; poi, un po' timorosi s'avventurano su un nevaietto: "Chi si trovò munito di velo azzurro o di occhiali affumicati, poté ascriverselo a gran ventura, poiché quelle miriadi di bianchi riflessi, accompagnati da un'aria oltremodo frizzante, tornavano alla vista molestissimi non solo, ma dannosi. L'epidermide poi ardeva, la respirazione diveniva prima ansante e poi, grado grado, difficile e penosa."
La salita si fece man mano più difficoltosa, soprattutto per quattro alpinisti sprovvisti di scarponi chiodati che si trovarono in difficoltà nel tratto finale assai ripido. Ma un po' tutti sembravano a mal partito "...L'ardore del sole aveva fatto rammollire la neve, ed i nostri piedi dapprima, poi le gambe incominciarono ad affondarsi. Ad ogni tratto conveniva cadere per mancanza d'appoggio. Ed allora colle gambe s'infossavano anco le braccia, ed il risollevarci non era per noi lieve stento. Che fare? Ci ponemmo a camminar carponi, ben puntando i piedi ed il bastone. Due dei nostri compagni, il signor Monti ed il minore Curletti, avevano saputo prendere una via più breve e più facile, ed erano sul punto di toccare felicemente il solido terreno. Noi invece sbagliammo strada e cercammo inerpicarci, carponi sempre, su una salita avente una inclinazione spaventosa. La guida, che era rimasta indietro a scortare uno dei nostri compagni, seguitava a gridarci parole inintelligibili dapprima, ma che poi comprendemmo essere «A destra, a destra! ... avremmo voluto seguitare i suoi consigli, ma il discendere era diventato, per noi, ancor più pericoloso del salire. Ci trovavamo infatti come sospesi fra cielo e terra. Davanti un masso a picco costeggiato da una striscia di neve molle e quasi ritta; indietro tutto il nevaio ripido così da farci venire le vertigini al solo mirarlo. Un passo falso, uno sdrucciolamento sarebbe stato per noi inevitabilmente fatale. Bisognava dunque salire. La realtà della nostra posizione ci aveva tolto la favella. Io solo, per rinfrancare me e gli altri, tentavo ridere e canterellare. Si proseguiva intanto lentamente. Ad un tratto uno dei nostri, il signor Torri, perde il punto d'appoggio e cade pancia a terra, solo sostenuto dalle mani cacciate fra neve e sassi con impeto nervoso. Dietro a lui era il signor Curletti seniore; a fianco il signor Rossetti, ed io stavo davanti a tutti.
S'incominciò a tremare. Le forze visibilmente abbandonavano il caduto; se fosse precipitato, avrebbe, nella rovina, trascinato seco il Curletti, e questi più di tutti temeva il fatal caso. Io stringevo tra le mani la picca, e distavo due metri appena dal masso di cui feci cenno più sopra. Mi appuntai coi gomiti vigorosamente, ed aiutandomi colla picca e colle gambe, spiccai come un salto, e potei appoggiarmi colla schiena al masso e co' piedi nella fessura fra esso e la neve. Porsi al Torri la picca, e gli dissi di sporgermi il bastone: con quella ei si sarebbe validamente sostenuto, con questo avrei tentato di sorreggerlo dapprima e poi di tirarlo a me dolcemente. Le mie forze, in quel punto, parvero centuplicarsi; tirai, tirai, e di lì a pochi istanti, il Torri era in salvo. Impresi poscia a scavare profondi gradini. Questi, salvezza di tutti, furono opera della picca, di quella picca che al mattino i compagni miravano con occhio derisore. Dopo quarantacinque gradini raggiungevamo felicemente la terra, a pochi passi dai due compagni che ci avevano preceduti e che muti avevano contemplato una scena che poteva farsi tragica."
Poco dopo gli scalatori sono in vetta alla sospirata montagna, dove si lasciano andare a nuove libagioni e ad un abbondante pasto ristoratore: "In un quarto d'ora poscia o poco più di salita, sempre pericolosa, poiché si camminava sopra sassi staccati e scivolanti con minaccia a chi veniva dietro, toccammo la cima del Pizzo Tornello. Erano le ore 9,15 mattina. E dato un rapido sguardo allo stupendo e grandioso panorama che ci attorniava, ci gittammo a terra spossati, respirando con forza e volontà un'aura rada e lieve, atta a farci in poco tempo dimenticare tutte le pene ed il mal della passata via -. Avevamo gelosamente conservate varie bottiglie di gin bianco e nero ed una dose discreta di provvigioni, e di tutto in breve tempo ci sbarazzammo. Mancava l'acqua, ma lì presso era la neve; di essa riempimmo le bottiglie vuotate d'un fiato, e la facemmo squagliare al sole. Era inesauribile la sete che ci divorava!"

  • Alla partenza verso il Pizzo Tornello, Vilmaggiore e la splendida Valle di Scalve.
  • Ormai fuori dal bosco lo sguardo si apre verso Sud dove s'impone la Presolana.
  • La piccola baita Varro unico segno dell'uomo in questa ripida vallata solitaria.
  • Il cristallino Lago Varro in Val di Tino, dominato dalla cima del Pizzo Tornello.
  • Ancora una vista del Lago Varro ripreso salendo verso la cima.
  • Sulla cresta terminale sguardo sull'alta Valle di Tino e sul suo magnifico laghetto.
  • Ancora sulla cresta finale, indicazioni inequivocabili ci dirigono verso la meta ben visibile.
  • Finalmente sulla cima, da dove si può ammirare uno splendido panorama sulle Orobie orientali.