Lasciata l'auto nel piccolo parcheggio del "Grott di Baloi" (Grotto dei macigni - Posto tappa sulla Via Alpina centrale; tel. 0041 (0) 91.75.41.387) che sorge sulla sinistra della carrozzabile, oppure a destra di essa in un piccolo piazzale all'inizio della stradina che entra in Fontana, si prosegue a piedi. La stretta carrareccia acciottolata sale leggermente e poi piega a destra sfilando accanto all'oratorio ed in breve entra fra le antiche abitazioni in pietra. In fondo al villaggio, nei pressi un rivo s'incontra l'imbocco del sentiero che sale verso l'Alpe Larechia (il cartello escursionistico non riporta il nome della località e vi si legge: Alpe Fiorisca, Brunescio, Prato Sornico TREKKING 700°).
Con stretti tornanti, il tracciato entra subito nel bosco lambendo inizialmente il torrente della Valle di Larechia per poi allontanarsene e inerpicarsi lungo la ripida dorsale destra orografica della valle. Fortunatamente protetti dalla frescura delle selve cominciamo una ginnastica che avrà termine molti metri più in alto. A volte il sentiero si presenta un po' degradato, segno che non è oggetto di grandissime frequentazioni, tuttavia il tracciato è sempre ben evidente. Questo primo tratto, risalendo il quale potrete ammirare alcuni imponenti esemplari di castagno, ci porta alla base delle prime placconate granitiche che caratterizzano la parte superiore del percorso. Una traversata verso sinistra ci porta, infatti, all'inizio di una scalinata che, sfruttando in parte una cengia, taglia un'imponente scudo di pacche per rientrare ancora nel bosco. Poco dopo con una serie di miracolosi "avvitamenti" il sentiero sale lungo un vertiginoso sperone roccioso da cui si ha una splendida vista sulla Valle Bavona e sulla cascata della Calnegia.
Ancora e sempre ripidissimo il sentiero prende quota con vedute sempre più aperte ed impressionanti sul fondovalle; alcuni magnifici e monumentali faggi ci fanno compagnia in questo tratto che termina su una rotondeggiante dorsale granitica quasi affacciata sul vuoto e sormontata da un grande larice. Poco oltre questo altro monumento vegetale, il tracciato perde pendenza per iniziare a traversare verso destra. Poco dopo, evitando di prendere la deviazione che sale a sinistra e che porta verso l'Alpe Fiorisca, si prosegue dritti abbassandosi poi leggermente per traversare un silenzioso bosco di larici. Le gambe hanno un piacevole momento di pausa e tranquillamente, godendo delle bellezze della selva, arriviamo a sbucare nell'ampia, ma ripida apertura prativa dove, aggrappate alla montagna, sorgono le poche dimore dell'Alpe Larechia. Sulla sinistra un rivo consente di ristorare la nostra sete e poco più avanti eccoci fra le case di pietra da dove si apre uno splendido scorcio verso mezzogiorno.
In molti libri la Valle Bavona è descritta come la valle più rocciosa delle Alpi e se non è così poco ci manca veramente. La valle è uno stretto solco intagliato fra alte pareti granitiche che, con imponenti strutture verticali e placconate, la separano in due livelli altitudinali: in basso il fondovalle e sopra le pareti i ripidi e scarsi pascoli d'alta quota dove sorgono gli alpeggi. Numerosi piccoli centri scandiscono la strada principale della valle. Si tratta di nuclei abitati formati dalle tipiche dimore locali, compatte e solide, con i caratteristici tetti ricoperti di spesse tegole in pietra locale. Il primo villaggio di Bavona è Bignasco, posto proprio al suo ingresso; nelle vicinanze si trova anche Cavergno con cui divide la proprietà della valla. Lungo la strada, da Bignasco si incontrano 14 villaggi localmente chiamati "terre" e di questi il più elevato è San Carlo, 950 m; da qui la montagna s'impenna d'un fiato per arrivare ai ghiacci e alla cima del Monte Basodino 3272 m.
Per quanto aspra e rocciosa, la Valle Bavona è stata sicuramente colonizzata già prima dell'anno 1000, come dimostrano le poche case-torre ancora rimaste e tipiche dell'architettura alpina arcaica. Per cause non note, ma con buona probabilità a causa una serie di alluvioni e per l'incrudimento del clima iniziato in quegli anni, dal 1500 circa la valle si spopolò e gli abitanti si portarono a Bignasco e Cavergno. La valle ed i suoi villaggi restarono pertanto come sospesi nel tempo in attesa che l'uomo vi facesse ritorno, cosa che si è verificata in questi ultimi anni. Fortunatamente i magnifici villaggi sopravvissuti alle speculazioni degli anni successivi la Seconda Guerra mondiale, furono protetti con regolamenti che ne difendevano le caratteristiche e l'urbanistica. Pertanto ogni forma di recupero si è compiuta nel pieno rispetto delle impostazioni tipiche dell'architettura locale. Fontana è il nucleo più importante della valle; costruito sopra una grandiosa frana preistorica, deve il suo impianto urbanistico ad un attento sfruttamento delle curve di livello. Le case sorgono, infatti, su differenti altezze, un po' discoste dall'oratorio dei santi Giacomo e Filippo eretto nel 1600 e ampliato nel 1780. Luogo di raccoglimento ed incontro fra la gente, gli oratori sono gli edifici meglio costruiti della Val Bavona.
Ma tutti i paesi della valle meritano un'attenta visita per scoprire angoli e scorci di grande suggestione in un mondo di boschi, alte pareti e ciclopici macigni precipitati da lassù.
In tutte le valli alpine dove la roccia è componente principale del paesaggio, l'uomo ha dovuto escogitare mille modi per poter trarre dall'ambiente ostile il necessario per la vita. Le piatte sommità dei ciclopici massi erratici, o franati, furono rese coltivabili ricoprendole di terra e per raggiungere i pur magri e ripidi pascoli d'alta quota si tracciarono sentieri vertiginosi che permettevano di vincere le muraglie che li separavano dal fondovalle. Percorrendo il sentiero che da Fontana s'inerpica verso Larechia vengono alla mente molte domande. In primo luogo ci si chiede chi sia potuto essere il primo a trovare la giusta via fra le grandi placche rocciose. Forse furono dei cacciatori all'inseguimento di cervi o camosci, o forse il tracciato fu scoperto con una serie di progressive esplorazioni durate comunque diverso tempo. Certamente i costruttori di una simile opera dovevano essere persone spinte da motivazioni fortissime che a noi oggi in buona parte sfuggono. Salendo le ripide gradinate sospese sulle rupi viene spontaneo chiedersi lo scopo di tanta fatica e, una volta a Larechia, si resta sconcertati nel constatare che tanta fatica sia stata impiegata per raggiungere "solo" un magro pascolo, poco esteso e molto ripido.
Immediata la considerazione di quanto sia cambiata in pochi anni la nostra scala dei valori: chi di noi oggi affronterebbe la vita di chi ebbe il coraggio, la forza e l'abilità di tracciare quel sentiero per un pugno d'erba e un magro pascolo?
Non parliamo poi della nostra percezione del tempo che appare lontana anni luce dalla cultura di chi concepì queste opere, ovunque si trovino nelle Alpi. Oggi siamo abituati a fare tutto presto e a consumare velocemente: vogliamo tutto e, possibilmente, subito. Per costruire un sentiero come quello di Larechia poteva non bastare una vita: giorni e giorni spesi a trovare il passaggio migliore, a costruire muri a secco e ciclopiche scalinate, manovrando ingenti pesi con scarsi mezzi ed in posizioni a dir poco vertiginose. Ogni anno era una lotta con la montagna che voleva cancellare quanto fatto con frane e smottamenti. Ogni anno qualche preziosissimo animale della mandria perdeva la vita scivolando malamente dalle rupi.
E se una vita sola non bastava per portare a termine il sogno e raggiungere i sospirati alpeggi, lassù, sopra le rupi, allora ci pensavano i figli ed i nipoti di colui che aveva iniziato, e piano piano nasceva un miracolo di ingegneria empirica che non dovrebbe andare perduto.