Passeggiate - Il Triangolo Lariano e i "Trovanti"

Contenuto della pagina: scheda completa del percorso «Il Triangolo Lariano e i "Trovanti"»

  1. Scheda
  2. Percorso
  3. Approfondimento
 
  • Zona: Lario Orientale o Triangolo Lariano
  • Tipo: Passeggiata
  • Sigla: A36
  • Periodo consigliato: tutto l'anno
  • Punto di partenza: strada Lecco-Erba-Como
  • Tempo di percorrenza: a piacere
  • Dislivello: itinerario prettamente automobilistico con qualche escursione a piedi
  • Difficoltà: T (Turistica)
  • Bibliografia: Mozzanica I. "Itinerari nel Triangolo Lariano", Ed. Electa 1998;AA.VV.: "Trovanti storia geologica e antropica dei massi erratici nel neozoico lariano", Nuoveparole Ed. Como 1987
  • Cartografia: Carta Nazionale della Svizzera CNS 1:50.000 n. 297 «Como»;Carta Escursionistica Kompass 1:50.000 n. 91 «Lago di Como-Lago di Lugano».
  • Informazioni locali: Comunità Montana Triangolo Lariano   Via Vittorio Veneto, 16 - 22035 Canzo
  • Tel. 031.672.000 - Fax 031.670.248. E-mail: info@cmtl.it
 


 
mappa di Il Triangolo Lariano e i "Trovanti"

Dal Piano d'Erba a Canzo

Il Triangolo lariano è quel piccolo spicchio di terra che, a mo' di penisola, s'insinua nel Lario, determinandone i due rami, di Como e di Lecco. Separata sui due lati dalle acque del lago, questa terra non è di facile accesso neppure per chi provenga da Sud, dalla Brianza. Una catena quasi ininterrotta di cime, per lo più erbose, ma imponenti, preclude la vista verso l'interno. Unica breccia la Valassina, il solco lungo il quale scorre il Lambro, che nasce alle pendici della più alta vetta del Triangolo lariano, il Monte San Primo 1686 m posto quasi a sentinella della punta di Bellagio.

Il percorso facile che proponiamo è una sorta di tour automobilistico nel cuore di questo mondo un po' sconosciuto, ma ricco di attrattive storiche, naturalistiche e paesaggistiche.

Per prima cosa consigliamo di non seguire da subito l'una o l'altra delle due strade che penetrano nella Valassina alle spalle di Erba. Preferiamo suggerire di percorrere la carrozzabile che dalle sponde del Lago di Pusiano porta a Longone al Segrino.

Il piccolo borgo sorge sulle propaggini meridionali del Monte Alto 554 m, e può vantare antichissime origini. Ne sono testimonianza le urne cinerarie celtiche ritrovate nei pressi del Lago del Segrino, il piccolo ed oscuro specchio d'acqua situato poco ad Est dell'abitato. Altri ritrovamenti d'epoca romana, fra cui un'ara votiva dedicata al dio Ercole, confermano l'importanza del luogo.Di origini medioevali è il castello, di cui rimane la grande torre di guardia che s'affaccia sul Piano d'Erba. Longone al Segrino conobbe un periodo di prosperità quando, nel '700, venne introdotta l'industria della seta, che contribuì a modificare le abitudini di vita degli abitanti fino ad allora legati all'agricoltura e alla pastorizia. Nel '900 Longone fu scelto come località di villeggiatura da numerose famiglie della borghesia erbese e milanese. Fra le belle ville della zona ricordiamo Villa Gadda, eretta nel 1900 dal padre dello scrittore Carlo Emilio.

Lasciato Longone al Segrino alla volta di Canzo, si arriva in breve sulle sponde del Lago del Segrino, minuscola gemma profondamente incastonata fra i boschi della costiera Monte Alto-Monte Scioscia ad Ovest e del Monte Cornizzolo ad Est. Il laghetto è circondato da un anello che permette ai numerosi amanti dell'attività all'aria aperta di passeggiare, correre e allenarsi, anche se, a volte, le petulanti oche che lì abitano, sembrano non gradire intrusi. Il piccolo lago chiamato anticamente Fons-Sacer, è stato più volte ricordato nelle opere di scrittori famosi come Stendhal nel suo "Giornale di viaggio in Brianza" e Ippolito Nievo nella novella "La pazza del Segrino". Il Fogazzaro in una lettera ad un suo amico rivela invece che: "& realmente il lago di Malombra è il piccolo Segrino". Lasciato il lago, una breve e stretta vallecola ci porta nella conca dove sorge Canzo, il capoluogo del Triangolo lariano, sede della locale Comunità Montana e città natale di Filippo Turati.

Il borgo sorge alla confluenza della Val Ravella che da Est scende dai Corni di Canzo, per congiungersi con la Valassina. Dirupati versanti montuosi, segnati da falesie di roccia calcarea, circondano quasi completamente l'abitato. Anche Canzo vanta origini antiche, risalenti addirittura alla preistoria. I residui della lavorazione di pietre silicee trovati in zona, pongono il luogo come uno dei primi insediamenti umani a Nord del Po. Dal "castello", ora occupato da un albergoristorante, si gode una magnifica vista sul paese e si può facilmente accede alle fonti Gajum, da cui si ottiene l'omonima acqua minerale. Le fonti si trovano allo sbocco della Val Ravella e vi si accede seguendo la strada segnalata, che si diparte sulla destra, un centinaio di metri prima della stazione ferroviaria. Fatte poche centinaia di metri, ci si trova di fronte ad un cartello escursionistico che invita a scendere dall'auto per seguire l'anello del "sentiero geologico". La gita richiede circa tre ore e permette di compiere un salto nel passato, al tempo in cui, con il ritiro dei ghiacciai del quaternario, restarono "impigliati" fra queste cime i "trovanti", blocchi di granito, gneiss o serpentino che il flusso glaciale aveva portato fin qui dai monti della Valtellina e della Valchiavenna.

Volendo continuare in auto, si percorre una serie di ripidi viottoli e voltando infine a sinistra eccoci alle fonti Gajum, dove sorgono alcuni alberghi e dove partono i sentieri per i Corni di Canzo ed il Cornizzolo. Ricordiamo, inoltre, che nelle vicinanze si trovano le importanti falesie di Scarenna e Gajum dove si pratica il freeclimbing. Più alpinistici, ma sempre con una connotazione di palestra di roccia, sono i Corni di Canzo.

Fra antiche testimonianze e paesaggi mozzafiato

Ripreso il corso della Valassina in direzione Nord, subito dopo Canzo entriamo in Asso quasi senza accorgerci di essere passati in un altro paese. Dopo Asso la carrozzabile inizia a salire. Lasciamo sulla destra la deviazione per Valbrona e proseguiamo dritti arrivando in vista di Lasnigo, piccolo grumo di case aggrappate alle pendici del Monte Oriolo, allo sbocco della valle che scende dalla Conca di Crezzo.

Una deviazione a destra ci permette di traversare il Lambro e di raggiungere il paese che, probabilmente, fu uno dei più importanti del Triangolo lariano. Le punte di selce e le urne cinerarie ritrovate in loco rimandano ad epoche ben più remote. Il nome del paese deriva per successive trasformazioni: da "Assi vicus" (villaggio di Asso), "Asvicus", "Nasnigo" e infine l'attuale Lasnigo. Sulla pubblica piazza si trova una fontana con la lapide che un veterano della Nona Legione Caio Alebo, figlio di Càstico, fece scolpire in memoria di sé e della moglie Pompeia Dorcade. Ai piedi della lapide, la vasca della fontana è stata ricavata da un masso avello di granito che, probabilmente, era la tomba stessa del legionario.

Nel Medioevo il borgo fu circondato da mura medievali di cui restano ancora le vestigia assieme a due torri che recano lo stemma del comune. Secondo le cronache del tempo, il paese si estendeva anche sull'opposta sponda del Lambro, o meglio, esistevano qui due nuclei distinti: Lasnigo ed Orsenigo.

Quest'ultimo centro fu distrutto dal terremoto che sconvolse il triangolo lariano nel 1117 e dalle alluvioni del 1226. Il borgo sorgeva più o meno dove oggi si può ammirare l'imponente edificio della chiesa romanica di Sant'Alessandro di cui parleremo più avanti. In un'antica pergamena del 1300, redatta da Goffredo da Bussero si legge: "Sant'Alessandro Martire ha una chiesa nel luogo di Orsenigo, Pieve di Asso". Di Orsenigo e della sua chiesa si parla anche in un manoscritto anonimo custodito nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Ma riprendiamo il nostro viaggio. Da Lasnigo s'imbocca la stretta carrozzabile che porta alla Conca di Crezzo, incredibile balcone affacciato sul ramo orientale del Lario e sulle dirupate architetture del Grignone e della Grignetta.

La strada traversa subito il corso d'acqua che scende da Crezzo e lo risale tenendone la sponda destra idrografica. Durante la salita si avrà modo di notare numerosi massi trovanti sparsi nei prati, mentre i più piccoli, o frammenti di blocchi più grandi, sono stati usati per erigere i muretti a secco.

Il tragitto termina nei pressi del laghetto di Crezzo dove consigliamo di scender dall'auto per fare quattro passi nei dintorni. Il piccolo specchio d'acqua, quasi ricoperto dalle canne, s'adagia nella verdeggiante conca mentre, sullo sfondo, svettano i profili delle Grigne. Nelle sue acque vive la tipica fauna delle paludi fra cui il tritone.

Ridiscendiamo a Lasnigo per proseguire il viaggio verso il cuore del Triangolo lariano. Una volta arrivati sulla strada principale è però necessaria una nuova sosta, per andare a visitare la magnifica chiesa di S. Alessandro (XII sec.) che sorge su un poggio in mezzo alla valle. Il magnifico campanile fa parte del nucleo storico della chiesa; a rifacimenti successivi sono dovute, invece, la porzione absidale e la navata di stile tipicamente gotico. All'interno dell'edificio si possono ammirare importanti affreschi del XV e XVI sec. Dal 1912 la chiesa è monumento nazionale.

A caccia dei "trovanti"

Mentre il corso del Lambro si riduce sempre più, la Valassina trova un momento di respiro nell'ampia conca dove sorge l'abitato di Barni da cui, in pochi minuti si arriva a Magreglio o Magrei, come recita orgogliosamente il cartello indicatore che s'accoppia con quello scritto in italiano.

Siamo ormai alle sorgenti del Lambro, fiume il cui nome ci rimanda a fumi, inquinamento e discariche metropolitane piuttosto che a verdi orizzonti. Purtroppo anche qui, dove il letto del fiume dovrebbe presentarsi meno degradato, non sembra che l'uomo abbia risparmiato queste acque della sua scarsa considerazione verso i beni della natura.

Anche Magreglio fu sicuramente un insediamento preistorico, abitato da popolazioni neolitiche e successivamente da genti di ceppo celtico, fino all'arrivo dei romani. Nel Medioevo le vicende del borgo si legarono poi strettamente a quelle del territorio lariano.

All'uscita dell'abitato, prendendo per Civenna-Bellagio, si giunge ben presto al colle dove sorge il Santuario della Madonna del Ghisallo il cui nome ricorda un voto fatto da un certo conte Ghisallo per essere scampato ad un'imboscata brigantesca. Ma l'edifico è noto a tutti gli sportivi come il tempio del ciclismo e in esso si conserva la pergamena con cui papa Pio XII nominò la Madonna del Ghisallo patrona dei ciclisti. All'esterno del tempio si trova il monumento a Fausto Coppi e, poco lontano, sulla terrazza panoramica, quello al ciclista. Dalla Madonna del Ghisallo abbandoniamo ora la strada principale che scende verso la punta di Bellagio. Deviamo a sinistra, imboccando la strada che porta alle pendici settentrionali del Monte San Primo. Nostra meta sono la Pietra Luna e la Pietra Lentina, il più grande masso erratico delle Prealpi Lombarde.

In pochi minuti d'auto raggiungiamo il Piano Rancio, dove un cippo marmoreo, in mezzo ad una piccola rotonda, indica le varie direzioni possibili: a sinistra si sale verso il Monte San Primo, se si prosegue diritto si inizia, invece, la discesa verso Bellagio per un percorso alternativo. Nei pressi del cippo, sulla destra si diparte la via Pietra Luna. Lasciamo l'auto nei paraggi ed inoltriamoci nella via che, lambite una serie di casette, giunge al cospetto della bella Villa Buttafava, eretta su un poggio boscoso. All'interno del parco della villa, all'ombra di grandi faggi, si trovano diversi massi erratici e, accanto alle mura dell'edificio, spicca il chiaro granito del Sasso Sole recante scolpita un'immagine dell'astro. Percorrendo il perimetro della villa si giunge davanti alla Pietra Luna, importante masso erratico di roccia metamorfica, probabilmente proveniente dalla Val Malenco. Il masso è noto per essere stato al centro di numerose diatribe confinarie, fra la comunità di Bellagio e il feudo abbaziale di Civenna Limonta. Sulla superficie rocciosa si noteranno incise le lettere PLDB (Pietra Luna di Bellagio) fatte scolpire nel 1585, durante le suddette contese.

Ritornati al trivio con il cippo marmoreo possiamo riprendere l'auto e dirigerci verso Bellagio, scollinando verso Nord. Pochi metri più a valle la strada lambisce un grande masso. Si tratta della Pietra Lentina, un erratico di granito ghiandone che proviene dalla Val Masino o dalla Val Bregaglia. L'enorme macigno, che meriterebbe di esser maggiormente valorizzato, è il più grande trovante della Lombardia, con un volume di circa 1500 mc. Per approfondire l'affascinante argomento dei massi erratici o trovanti potete anche far riferimento alla pagina trovanti che correda il percorso di salita al Monte Moregallo.

Il nostro itinerario termina virtualmente alla Pietra Lentina. Da qui si può scegliere se rientrare lungo la strada da cui siamo giunti, o scendere verso la punta di Bellagio, per poi percorrere uno o l'altro dei due lati del Triangolo Lariano e ritornare alla sua "base". In alternativa, da Bellagio si può anche prendere il traghetto verso Varenna o Menaggio.

È però anche possibile continuare a girovagare per quest'angolo di terra, fra lago e pianura, alla ricerca di altri scorci panoramici, di massi erratici, di chiese e monumenti spesso ricavati da questi monoliti o costruiti con essi dopo averli ridotti in pezzi.

In tutto il territorio abbondano ristoranti e trattorie tipiche per cui, per non far torto ad alcuno, eviteremo di menzionare nomi e recapiti. Lasciamo a Voi e alla Vostra sensibilità individuare quello che ritenete possa meglio soddisfare i Vostri gusti.

  • Le oche del piccolo Lago del Segrino.
  • La torre di guardia medioevale vigila sul Lago del Segrino.
  • La conca di Canzo vista dal poggio del "castello".
  • Massi erratici di gneiss adagiati sui prati della Conca di Crezzo.
  • LÂ'imponente sagoma della chiesa di SantÂ'Alessandro di Orsenigo.
  • Dalla Conca di Crezzo uno sguardo sulla Grigna settentrionale e sulla Grignetta (a destra).
  • Un masso erratico di granito vigila impassibile il pascolo dei cavalli alla Conca di Crezzo.