Dalla chiesa di San Giovanni si traversa la SP583 e dopo aver imboccato per pochi metri Via De Passeris si imbocca sulla sinistra Via Tridi che si percorre per una cinquantina di metri fino a un piazzaletto dove sulla sinistra si stacca la mulattiera per Piazzaga (cartello indicatore). Il vicolo parte stretto tra vecchie cascine addossate alla montagna per poi proseguire tra campi orti e prati diventando così una docile mulattiera. Qua e là qualche segnalazione sentieristica costituita da pennellate di vernice, dal color rosso sbiadito, segnala la prima parte del nostro itinerario.
La mulattiera prosegue verso Est passando per Moniga e mantenendo una debole pendenza. La manutenzione e la manifattura del percorso sono esemplari. La mulattiera è un vero capolavoro costruito con pazienza e tenacia dall'uomo che, in chissà quali secoli passati, ha pazientemente sistemato grandi lastroni di pietra calcarea che costituiscono un'impressionante gradinatura che si sviluppa per diversi chilometri, sulla quasi totalità del nostro itinerario.
Dopo aver oltrepassato un gruppo di cascine diroccate e un arco in pietra, noto come Porta Travaina, probabilmente d'epoca romana, il sentiero s'addentra nell'ombrosa valletta di Stravalle lungo una traccia ricavata su una ripida parete seminascosta dalla ricca vegetazione. Poco dopo un caratteristico ponticello in pietra che permette di superare un suggestivo ruscello che scorre fortemente incassato nelle rocce e si giunge ad un bivio.
Mentre la traccia principale prosegue verso destra, arrampicandosi lungo il versante, un sentiero meno battuto, sulla sinistra, conduce in pochi minuti e in piano presso la cascina Negrenza dove è situato un caratteristico masso avello ricavato da uno dei tanti erratici presenti nella zona.
Vale quindi la pena abbandonare per qualche minuto la via principale per recarsi ad osservare questa importante testimonianza archeologica. Su un masso di roccia granitica, probabilmente proveniente dal bacino della Valmasino, collocato a ridosso dei ruderi di una baita, è scavato un sepolcro lungo 176 centimetri, largo 81 e profondo 46. Il perimetro dello scavo è orlato da un piccolo canaletto di scolo per evitare l'infiltrazione dell'acqua. Altri avelli si trovano nei pressi.
Una volta ritornati nei pressi del ponte si riprende il cammino lungo la ripida via che conduce all'Alpe Piazzaga salendo in uno splendido bosco di latifoglie, fino a sbucare nei prati sottostanti lPiazzaga e la cascina Repiago 600 m. Da qui si procede attraversando verso Est il gruppetto di casette variopinte per andare a visitare la cappella della chiesetta dell'Assunta.
Tornando indietro fino all'estremità occidentale del piccolo nucleo rurale si riprende la mulattiera traversando in direzione di Montepiatto. Quasi senza dislivello, la traccia ritorna nei boschi percorrendo una seconda volta la Stravalle e la sua incisa forra carsica, per poi sbucare sul vasto pianoro morenico di Montepiatto. In breve si raggiunge un fitto gruppo di case lambito ad occidente da un parco pubblico con ippocastani e massi erratici.
Ora si seguono le indicazioni per la"Pietra Pendula" e per la chiesa del luogo, dedicata alla visitazione di Maria alla cugina Elisabetta. L'edificio sorge su un promontorio affacciato sul Lario, in una posizione panoramica meravigliosa. Prendendo il sentierino che sfila sotto le mura del sagrato, si prosegue nel secolare parco di castani e ippocastani ed in breve si giunge alla radura dove si trova la "Pietra pendula", un grosso masso erratico di granito appoggiato dai ghiacciai del Quaternario su un esile piedistallo di calcare.
Il ritorno avviene sempre su una mulattiera perfettamente mantenuta che da Montepiatto scende verso Ovest per poi raggiungere le frazioni di Pezo e Caransio e quindi Torno. Mentre si scende verso il paese, può capitare che, guardando verso il basso, fra i rami degli alberi faccia capolino un colore blu intenso e brillante: il Lago di Como, che ci ha accompagnato per questo cammino, è un po' come un secondo cielo che può essere visto senza alzare la testa.
La natura delle forme, spesso bizzarre e curiose con cui si presenta ai nostri occhi il territorio alpino va ricercata tra le proprietà delle rocce che costituiscono le sue montagne, e nella storia del clima.
Il riconoscimento ed il rilievo di cordoni morenici frontali disposti ad anfiteatro nelle fasce pedemontane delle Alpi ha permesso di ricostruire l'estensione e le variazioni delle glaciazioni avvenute nel Pleistocene.
Quello che successe in questo periodo, compreso tra un milione e ottocentomila e l'ottomilatrecento avanti Cristo, nelle regioni Alpine e Prealpine non fu altro che un succedersi di avanzate e ritiri glaciali di notevole entità, che, nella fase di massima espansione portò il ghiaccio a lambire l'area sulla quale attualmente sorge Milano ed il suo hinterland.
Per immaginare questo scenario, bisogna pensare ad una vasta calotta glaciale che ricopre le Alpi fino ad una quota di duemila metri, dalla quale emergevano solo le cime più alte. Pensare a questa situazione non è facile, ma può diventare un gioco, specialmente se ci si trova sulla cima di una montagna e, se sotto il nostro sguardo, un fitto tappeto di nubi risale dalle valli facendo tabula rasa di tutto ciò che sta al di sotto.
La situazione in realtà fu ben più complessa e dalle evidenze raccolte dai glaciologi in anni di ricerche di terreno emerge che le parti più interne di questa gigantesca calotta, venivano drenate da sistemi glaciali complessi e articolati.
Ad esempio, il sistema dell'Adda e del Lago di Como raccoglieva i ghiacci che defluivano dalla Val Chiavenna, dalla Val Bregaglia e dalla Val Malenco, per poi scendere verso sud dove si suddivideva in più rami. Una sua diramazione alimentava il bacino del Ceresio attraverso la sella di Menaggio, mentre alcuni rami minori risalivano le valli laterali come la Valsassina e la Val d'Intelvi.
I ghiacciai sboccavano infine in pianura, e al loro ritiro lasciarono grandi anfiteatri morenici oggi riconoscibili nelle docili e verdeggianti colline della Brianza. Su tutto il territorio del Triangolo Lariano sono disseminate le testimonianze di questa impressionante avanzata glaciale. I numerosi trovanti (o erratici), principalmente di granito, incontrati su questo e in altri itinerari proposti, non sono altro che massi trasportati per centinaia di chilometri dai ghiacciai preistorici.
All'occhio allenato dell'escursionista più attento non sfiggiranno certo tutti quei blocchi arrotondati di ghiandone, una roccia tipica della Valmasino, disseminati ovunque nei boschi delle montagne di Torno, in netto contrasto con le altre rocce 'in posto'. Pensare quindi a una forza che sposta dei massi, anche di diverse tonnellate, per un centinaio di chilometri, può benissimo rendere l'idea di cosa avvenne migliaia di anni fa in queste regioni.