La nostra gita può iniziare da tre diverse località. Noi consigliamo di partire dal piazzale antistante il cimitero di Chiavenna poiché è facilmente raggiungibile anche per chi voglia utilizzare il treno come mezzo di spostamento. Dalla stazione ferroviaria di Chiavenna si prenda Via Vittorio Emanuele II e poi il Viale di Pratogiano caratterizzato da grandi platani. In fondo al viale si piega a sinistra imboccando Via G. B. Picchi che si percorre finché si giunge sul piazzale antistante il cimitero, dominato dalla rupe del Paradiso.
NOTA: la traccia gpx serve solo come orientamento generale tante sono le divagazioni possibili sul percorso segnate da cartelli indicanti le zone di interesse.
La gita prende le mosse lambendo sulla destra il muro di cinta del cimitero, costeggiandolo con una deviazione a sinistra, per infilare uno stretto passaggio dove inizia una bella mulattiera lastricata che sale nel bosco con facile percorso (bandierine di vernice bianco-rossa). Poco dopo si incontra, sulla sinistra, una prima deviazione segnalata che si può prestare ad una breve divagazione per andare ad osservare da vicino alcune piccole "trone", cavità dalle quali si estraeva la pietra ollare. Ripreso il sentiero principale, si continua fino a giungere in vista dell'ampia radura del Prato Grande, sovrastata dalla rossiccia parete del Sasso Dragone. Proseguendo lungo la mulattiera si costeggia il prato, si rientra nel bosco e si giunge al Passo Capiola 498 m. Ora si deve deviare a sinistra iniziando la salita del Sasso Dragone. Fra rocce e pini si sale sulla "groppa" del Dragone giungendo su un bel terrazzo panoramico protetto da ringhiere, da dove si ha una splendida vista sul territorio circostante. La vista è ampia: si stende su tutta la Val Bregaglia e sulle prospicienti case di Prosto e Borgonuovo con il Palazzo Vertemate Franchi e le cascate dell'Acqua Fraggia. Dopo avere iniziato la discesa si faccia attenzione sulla sinistra, onde non perdere la vista della più spettacolare marmitta del Parco: un gigantesco "calderone" sempre pieno d'acqua piovana che presenta anche un soffitto scavato. La discesa prosegue sempre lungo il bel sentiero che, con diversi tornanti, perde quota. Al termine della discesa si giunge alla base di un grande roccione, il Sasso di Poiatengo attrezzato per difficili scalate. Piegando a destra si lambisce la base della roccia e, con agevole percorso pianeggiante, in pochi istanti si può raggiungere il Crotto Belvedere. Da qui il tracciato prosegue fino alla vicina chiesa di Prosto, fiancheggiata dal "Palazzo dell'Ospitale". La chiesa, consacrata a Maria Nascente, risale al 1600 e si affaccia su una piccola piazza. Qui consigliamo di andare a visitare il vicino "atelier-museo" di Roberto Lucchinetti che si è insediato negli stessi locali dove aveva sede il laboratorio di Giacomo De Pedrini, uno dei più famosi artigiani della pietra ollare. Oltre a produrre oggetti in "ollare", soprammobili ed in particolare laveggi, Lucchinetti ha avviato con la moglie e l'aiuto dei figli, un piccolo laboratorio di tessitura dove si producono tappeti pezzotti e tessuti in lino. La stessa famiglia Lucchinetti si occupa della coltivazione del lino le cui piante sono messe a dimora nel piano di Chiavenna e successivamente lavorate per essere trasformate in pregevoli ed esclusivi tessuti. Abbandonata la piazzetta di Prosto torniamo ai piedi del Sasso di Poiatengo e proseguiamo diritti, passando un piccolo prato e una baita. Lasciata a sinistra una deviazione che porterebbe alle piccole "trone" segnalate all'inizio della descrizione, si arriva in breve nella viuzza dove, allineati sotto una parete rocciosa, sorgono i crotti di Poiatengo. I crotti sono una delle più note caratteristiche del territorio. Si tratta di anfratti e cavità generalmente dovuti agli interspazi rimasti fra i blocchi d'antiche frane. Tali cavità non sono mai completamente sigillate, ma presentano diverse vie di sfogo che le collegano con l'esterno. Al loro interno si creano così delle correnti d'aria, i "sorei" che le rendono adatte per la conservazione dei prodotti caseari, dei salumi e del vino. Le correnti sono così fredde che quasi tutti i crotti sono dotati di un "anticrotto", sorta d'anticamera, spesso dotata di camino. Da iniziale luogo di conservazione delle derrate alimentari il crotto ha assunto, nel tempo, anche una ben più importante funzione, divenendo punto di socializzazione e simbolo stesso dello spirito aperto delle genti di Valchiavenna. E' bastata l'aggiunta di una o più pareti a delimitare la struttura, la creazione di un piccolo spazio antistante, magari attrezzato con tavoli e panche di pietra, per ottenere preziose cantine-ritrovo ove trascorrere gli ozi e i momenti lieti. In autunno, Chiavenna ospita la tradizionale "Sagra dei crotti", vera e propria celebrazione della buona tavola e della convivialità. Attorno a Chiavenna, Mese, Gordona e in tutta la Val Bregaglia, queste caratteristiche strutture sono numerosissime. Usciti dal vicolo dei crotti di Poiatengo si lambisce la croce marmorea che ricorda il luogo del martirio di suor Maria Laura Mainetti assassinata nel 2000 da tre ragazzine in preda a esaltazioni sataniche. Poco oltre si giunge in una piccola piazzetta nella quale spicca, sulla sinistra, la casa del Paradiso, dalla rossa facciata. Nei pressi, in Vicolo Marmirola, ha sede il Museo della Valchiavenna, ospitato negli edifici della Comunità Montana; nell'ampio piazzale antistante si trova un monumentale torchio a leva che merita una visita.
A fianco della casa del Paradiso prosegue invece Via Quadrio che porta nella Piazza Castello dove si può ammirare il bel maniero appartenente ai Conti Balbiani (XV sec.). Si rientra, quindi, in Via Picchi chiudendo l'anello; ma prima consigliamo anche una breve visita alla Chiesa di San Lorenzo che sorge quasi di fronte al cimitero. Nella chiesa è custodito il "tesoro" del santo, un'importante raccolta di oggetti preziosi provenienti dalla collegiata e da altre chiese della valle. Fra i "pezzi" più importanti si ricorda la massiccia coperta di evangeliario nota come "la Pace di Chiavenna", uno dei più raffinati esempi d'arte orafa medioevale. Narra la tradizione che il gioiello sia stato donato alla città da Federico Barbarossa, grato per l'ospitalità ricevuta, allorquando vi soggiornò per incontrare suo cugino Enrico il Leone, duca di Sassonia e di Baviera. Il vicino battistero conserva uno stupendo fonte battesimale del 1156, con una vasca monolitica in pietra ollare.
Alle spalle di Chiavenna, all'imbocco della Val Bregaglia si trova un piccolo mondo ombroso, fatto di fitte foreste e di rocce rossastre che affiorano qua e là, interrompendo il verde mantello. Queste rocce sono completamente diverse da quelle che caratterizzano gran parte della Valchiavenna e della Bregaglia, dove predominano gli gneiss e i graniti. Si tratta, infatti, di un affioramento di rocce molto più tenere, dette comunemente "pietre verdi" o "serpentini", ma più precisamente "oliviniti" e "anfiboliti", che sono così tipiche nella non lontana Val Malenco. Il ghiacciaio, che millenni or sono ricopriva tutta la vallata, confluiva più o meno in questo punto con la grande lingua che scendeva dal Valico dello Spluga. La grande massa glaciale ebbe facile gioco nel modellare le tenere rocce serpentinose, lasciando i segni del suo "pesante" passaggio con striature e arrotondamenti inequivocabili. Contemporaneamente, sulle rocce, nei punti ove si trovavano delle piccole concavità, le acque di fusione s'invorticarono e i detriti che trasportavano agirono da mola approfondendo gradualmente il buco. Altri detriti più grandi aumentarono l'azione delle acque, fino a formare delle "marmitte" di pietra che, in certi casi, assunsero dimensioni enormi tanto da essere dette "dei giganti". Si tratta di un fenomeno diffuso in tutte le Alpi e in ogni altro luogo dove scorra, o sia passato per lungo tempo, un corso d'acqua vorticoso.
Con il ritiro dei ghiacci restarono le grandi rupi, lavorate dalla loro azione, e bianchi massi di granito della Bregaglia che oggi spiccano chiaramente sulle dorsali brune delle rupi. Già in epoche antichissime, forse ancor prima che giungessero i Romani, gli abitanti locali avevano scoperto che le tenere rocce del luogo potevano essere lavorate per ottenere vari tipi di manufatti e, in particolare, recipienti atti alla cottura dei cibi. Tali recipienti, nei quali è possibile cuocere i cibi senza l'aggiunta dei grassi, sono detti "laveggi" e ancor oggi sono utilizzati, specie nei crotti-ristorante della zona, per cucinare le specialità culinarie della Valchiavenna.
La prima testimonianza scritta riguardante tali recipienti risale niente meno che a Plinio il Vecchio il quale, nella sua "Naturalis Historia" ci narra delle qualità della "lapis viridis comensis" così detta perché forse egli la vide in quella città o, più probabilmente, perché in epoca romana la Valchiavenna faceva parte del territorio comasco. La "lapis viridis" altro non è che la tenerissima pietra ollare, una varietà di pietra verde, assai ricca di clorite.