Il tratto costiero del Lario compreso fra Menaggio ed Argegno è uno dei più interessanti e belli dell'intero lago. Numerose testimonianze storiche rimandano all'antico e glorioso passato di questo territorio e ci parlano delle vicende dell'Isola Comacina, di furiose battaglie navali fra le genti lariane, di santuari ed eremi che in gran numero s'affacciavano sul lago. La bellezza di questi luoghi, fronteggiati dalla punta di Bellagio, ha da sempre attratto il visitatore e moltissimi personaggi illustri hanno scelto di soggiornarvi. Le numerose splendide ville e gli alberghi esclusivi testimoniano di un turismo ricco e assai qualificato. Gli amanti del bello, del paesaggio e della tranquillità hanno trovato qui un luogo ideale: la tradizione affonda nel passato più remoto e vale la pena di ricordare che da queste parti sorgeva la villa detta Comoedia fatta erigere da Plinio il giovane assieme ad un'altra residenza, la villa Tragedia, che si trovava sulla punta di Bellagio.
Poco dopo Tremezzo, in direzione di Como, la costiera del lago protende verso Sud-est un pronunciato promontorio che colpisce immediatamente l'occhio, in quanto appare completamente coperto dal bosco e privo di costruzioni in un territorio ove, ormai, ogni altro luogo appare abitato. Si tratta del Dosso di Lavedo, importante penisola che racchiude a Nord il golfo di Lenno e che cela, quasi invisibile, uno dei gioielli architettonici più belli di tutto il Lago di Como: la Villa del Balbianello.
Non ci dilungheremo, come capita in altre circostanze, nella descrizione dell'accesso in quanto è semplicissimo. Dal porticciolo di Lenno, grazie ad un viottolo immerso nel bosco si può giungere all'ingresso della villa (numerosi cartelli indicatori) in circa 10/15 minuti. In alternativa, sempre dal porticciolo, è in funzione un servizio di traghetto che costeggiando la Punta di Lavedo, porta i visitatori all'imbarcadero della villa.
Per altre informazioni su orari e condizioni di visita rimandiamo al sito Internet citato nella scheda.
Nota: questo articolo è stato possibile grazie alla collaborazione del FAI e, in particolare, del signor Antonio Filippone e della signora Elena Bertolaso oltre che delle brave guide che con maestria spiegano a turisti italiani e stranieri le bellezze del Balbianello.
La costruzione fu commissionata sul finire del '700 dal Cardinale Angelo Maria Durini (1725-1796) che già possedeva nella vicina località di Balbiano una villa e che per diverso tempo aveva cercato invano di acquistare l'Isola Comacina.
Sulla punta di Lavedo esistevano i ruderi della Chiesa di San Giovanni, caratterizzata da due campanili. Inizialmente l'edificio era parte di un convento di suore Cistercensi per poi passare ai frati Francescani prima e Cappuccini poi, fino al completo abbandono. Sfruttando in parte i ruderi dell'antico complesso monastico e sbancando la rocciosa punta, il Cardinale fece erigere quì la sua villa, luogo di romitaggio, lettura e accoglienza per gli amici più cari.
Ecco come descrivono i luoghi Federico e Carolina Lose, nel loro "Viaggio pittorico e storico ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como" pubblicato nel 1813: "Balbiano era anticamente un sobborgo dell'Isola Comacina celebre nella storia militare e politica de' bassi secoli, e di cui è originaria la rinomata famiglia de' Giovj. Ivi al dire del Monsignor Paolo duravano ancora al principio del secolo sedicesimo avanzi magnifici della villa de' suoi antenati. Comprolla da' Giovj il Cardinale Tolomeo Gallio che vi edificò un piccolo ma ben architettato palazzo, e tornato indi in possesso de' primi padroni, lo cedettero sul finire dello scorso secolo al Cardinale Angelo Maria Durini di sempre grata ricordanza, ed ora apartenente a Giuseppe Sepolina. Molte spese vi fece l'illustre porporato sì nel palazzo e nelle unite fabbriche, che nel dilatato giardino, e per contenere il torrente Perlana. Precipita questo dagli elevati monti, e guardando il dirupo settentrionale che ha formato scavandosi il letto, vedesi che è stata scomposta e giù strascinata dalle acque in ischegge una vetta di monte calcare bianco, con cui fu occupata la valle scavata dal torrente. Il viale lungo la Perlana conduce ai più belli orrori della valle. Se il ponte si passi posto sul torrente a fianco di Balbiano, si è tosto a Campo, ove un soppresso convento di Monache fu ridotto quasi a seconda villa dal Cardinale menzionato. Ei fabbricò pure sulla punta del vicino promontorio di Lavedo, in alto un amenissimo portico aperto, che domina a cavaliere i due seni del lago, ed al basso una casa civile, una bella chiesuola, un comodo sbarco, un opportuno porto guarnito, finché ci visse, di buon fanale, utilissima scorta ai naviganti notturni, ed appellò questo luogo Balbianello. Osservasi rimpetto a Balbiano il paese nominato Isola poc'anzi decorato di capitolo insigne, e varj altri paesetti, tra i quali Ossuccio, ove un'antica iscrizione rammenta un luogo consacrato Matronis, et Geniis Ausuciatium."
Dopo la morte del Cardinale Durini la villa ebbe diversi illustri proprietari per essere infine acquistata nel 1974, dal manager ed esploratore Guido Monzino, che la restaurò, facendola diventare la sua dimora elettiva.Il complesso architettonico è disposto a gradinata seguendo il digradare della rocciosa punta fino alle acque del lago. La parte inferiore, dove si trovano l'imbarcadero ed il porticciolo, conserva il ricordo dell'antica chiesa di San Giovanni sul cui sagrato, ombreggiato da meravigliosi, imponenti platani, si affacciano i due campanili. Una serie di vialetti portano verso l'alto attraverso il magnifico giardino che la necessità di adattarsi alla conformazione ripida del promontorio ha reso unico nel suo genere. Si tratta di un vero capolavoro, studiato per esaltare e rendere ancor più magico il paesaggio circostante già di per sé notevole.
La salita termina sulla vasta spalla dove sorge forse la struttura più caratteristica della villa, autentica porta d'ingresso per ogni visitatore. Si tratta di una splendida loggia disposta parallelamente alla penisola in modo da poter ammirare contemporaneamente i due opposti paesaggi visibili da lassù. Ai lati si trovano due ambienti che Guido Monzino riservò al suo studio cartografico e alla sua biblioteca che contiene circa 4000 volumi dedicati all'esplorazione e all'alpinismo.
La sala del cartografo è ornata da numerose stampe con vedute lariane, alcune delle quali di grande rarità. Poco sotto la loggia si accede al corpo abitativo della villa i cui spazi interni sono stati completamente ridisegnati dallo stesso Monzino. Ovunque stampe d'epoca aventi come soggetto principale il Lario ed i suoi paesaggi accompagnano il visitatore.
Al piano superiore, si trova la grande sala delle spedizioni, un piccolo museo dove sono raccolte le testimonianze ed i ricordi più importanti delle numerose spedizioni guidate dall'imprenditore milanese. Nelle altre sale e stanze si trovano notevoli collezioni artistiche frutto dell'appassionata ricerca e del buon gusto di Guido Monzino. Notevole è la collezione di maschere rituali e sculture con alcuni pezzi rarissimi risalenti all'epoca precolombiana. Altrettanto interessante la raccolta di dipinti su vetro, la maggiore in Italia, che impreziosisce le pareti di alcune stanze. Arazzi, vasi cinesi, tappeti rarissimi e mobilio d'epoca inglese e francese del XVIII e XIX secolo arredano tutta la villa e oltre ad esser un vero tesoro, sono un valido strumento per approfondire il gusto ed il carattere di Monzino, ultimo Signore del Balbianello.
Guido Monzino, figlio del fondatore della Standa, nacque a Milano nel 1928 e trascorse parte della sua giovinezza nella villa di famiglia a Moltrasio, impregnandosi delle luci e delle atmosfere lariane cui sarà sempre legato. Assunte le redini dell'azienda paterna ne divenne infine direttore generale assumendosi l'onere di una così grande responsabilità, ma affinando nel contempo le sue doti di abile menager che gli saranno utili anche nell'organizzare e guidare le sue 21 spedizioni alpinistiche ed esplorative compiute in ogni parte del globo.
Mosso da un romantico afflato di avventura e conoscenza Monzino riprendeva idealmente il filone delle grandi spedizioni che furono di S.A.R. il Duca degli Abruzzi. Nell'intento dell'imprenditore-esploratore non c'era solo lo stimolo alla conoscenza ma v'era anche il desiderio di riportare il tricolore italiano ai vertici dell'esplorazione. Esemplare in questo senso fu la sua richiesta al governo cileno di chiudere l'accesso all'area ove operava la sua spedizione alpinistica, area che era nelle mire anche degli scalatori britannici.
La passione di Guido Monzino per l'avventura nacque alla metà degli anni '50 del 1900, quando, in seguito ad una scommessa, egli scoprì la montagna ed il Monte Cervino. Sua guida in quell'occasione fu Achille Compagnoni fresco salitore del K2 la seconda vetta del globo. Ricorda la celebre guida che la notte precedente l'arrivo in vetta il giovane milanese non riuscì a prendere sonno, restando tutto il tempo alla finestra immerso nei suoi sogni e rapito dalla grandiosa magia del paesaggio. Fu un amore a prima vista con questa cima e con le guide di Valtournenche che, da allora, Monzino volle sempre con sé in ogni sua spedizione. Dai deserti di sabbia a quelli di ghiaccio, dalle vette più elevate alle latitudini estreme, Monzino si spinse ovunque ci fosse terra da esplorare. Tutte le sue spedizioni recano l'impronta dell'organizzatore che con estrema pignoleria teneva a non lasciare nulla al caso studiando di persona problemi di logistica e di equipaggiamento. Monzino era un po' come un ammiraglio o un generale sotto la cui guida tutto doveva filare per il meglio e senza badare mezzi al conseguimento del risultato e alla sicurezza degli uomini. Legato ad un modo ormai superato di gestire le spedizioni extraeuropee Guido Monzino non incontrò mai eccessivi consensi presso il mondo alpinistico d'elite. Gli si rimproverava l'eccessivo dispendio di mezzi che, facendo mancare parte dell'incertezza nel raggiungimento della meta, era giudicato poco sportivo.
Fra le 21 spedizioni Monzino merita un particolare cenno quella verso il Polo Nord, condotta utilizzando strumenti, attrezzature ed abbigliamento tipici degli eschimesi. Il Polo Nord fu raggiunto a prezzo di notevoli sforzi dopo 71 giorni di viaggio. Anche in questo caso, però l'abbondanza di mezzi fu esemplare: 300 cani da slitta, 25 slitte, tonnellate di viveri e materiali.
L'apoteosi di questo stile fu però espressa dalla spedizione italiana all'Everest del 1973, condotta senza risparmio di tempo e di denaro, con stile e mezzi militari, fra cui aerei ed elicotteri.
L'anno successivo Monzino acquistava la Villa del Balbianello con l'intenzione di crearvi, oltre che la propria dimora, anche un centro di documentazione alpinistica ed esplorativa.
Prima di morire prematuramente nel 1988, con lo spirito patriottico e magnanimo che l'aveva sempre guidato, Guido Monzino donò la Villa del Balbianello con l'annesso territorio del Dosso di Lavedo al Fondo per l'Ambiente Italiano che, attualmente, ne è il custode e valorizzatore.
Oltre a questo importante lascito, Guido Monzino si dedicò sempre, anche quando era in vita, ad opere filantropiche e di sostegno per le popolazioni del terzo mondo.
La visita agli interni della Villa del Balbianello sarà un modo di conoscere meglio questa singolare figura di uomo, idealista ed appassionato.
Tutto ci parla di lui e della sua indole, dei suoi gusti raffinati, ma traspare anche un carattere che amava avere tutto sotto controllo e rigidamente etichettato pronto all'uso del suo padrone.
Il Fondo per l'Ambiente Italiano è nato ufficialmente nel 1975 partendo da un'idea di Elena Croce, figlia del grande filosofo Benedetto Croce e grazie all'appassionata opera di Giulia Maria Mozzoni Crespi, Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli. Attualmente, il FAI è la terza fondazione europea per importanza ad occuparsi della tutela, della salvaguardia e della valorizzazione dei beni artistici e naturalistici di una nazione.
Grazie ad una sapiente opera di interventi e di acquisizioni, il FAI è una prestigiosa organizzazione che in pochi anni ha raggiunto ben 70.000 iscritti e che tutela 37 beni fra ville, castelli, parchi e ambienti naturali.
Accanto all'opera di restauro e mantenimento di questo patrimonio, il FAI si occupa anche della sua valorizzazione, consentendone la visita. È un impegno notevole e assai gravoso economicamente che richiede un notevole impiego di mezzi economici ed operatori.
La principale delle altre attività del FAI è la "Giornata di Primavera" in cui grazie ai suoi volontari, la Fondazione organizza visite guidate alla scoperta o alla riscoperta di centinaia di monumenti e beni paesaggistici italiani in molti casi chiusi al pubblico. Nel corso degli anni il FAI a consentito in questo modo la conoscenza di 2.700 beni guidandovi oltre 2.700.000 visitatori.
L'azione onerosa, ma al tempo stesso meritoria di questa Fondazione merita sicuramente il riconoscimento di cui già gode e anche il supporto che può giungere grazie all'iscrizione ad essa.