a) Da Vedello proseguire lungo la strada sterrata che conduce ad Agneda e ad Ambria. Dopo alcuni tornanti si lascia, a destra, la deviazione per Ambria giungendo, poco dopo, al paesino d'Agneda 1228 m (in caso di scarso innevamento si può giungere fin qui con l'auto). Proseguire lungo la stradina sterrata che porta alla diga di Scais 1494 m e, sempre lungo di essa, costeggiare il lato destro del lago entrando in Val Vedello.
Toccata la Baita Cornascio 1599 m, si prosegue per il fondovalle raggiungendo un pianoro. Da qui si devia a sinistra e, sempre lungo la vecchia strada, si perviene alla grande costruzione in cemento dell'ex miniera di uranio, già ben visibile dal basso. Per ripide e strette vallette (attenzione) si entra nel vallone che sbocca alle spalle della miniera, compreso fra la Cima Soliva, a sinistra, e il torrione roccioso del Piz Cavrin a destra. Risalire interamente il canalone raggiungendo una larga sella situata tra la Cima Soliva e la Quota 2647. Lasciati gli sci si sale in cima per la facile dorsale Sud-ovest.
b) La Quota 2647 m è situata sulla cresta fra la Cima Soliva e il Pizzo Grò, alle spalle (E) del torrione roccioso del Piz Cavrin in Val Vedello. Per la salita seguire l'itinerario precedente fino alla miniera di uranio. Da qui deviare verso destra e, aggirando da lontano la base della rocciosa torre del Piz Cavrin, entrare a sinistra nel vallone compreso fra questa cima e il Pizzo Grò. Risalire il vallone fino alla base di un ripido canalino che, con condizioni di neve sicura, può essere salito per 3/4 con gli sci e, in seguito, a piedi. Raggiunta la cresta spartiacque si volge a sinistra e per facili roccette si raggiunge la vetta.
Chi entra oggi nella Val Venina, o in una delle sue confluenti, difficilmente sarà portato a sospettare che questi luoghi, in buona parte negletti e abbandonati, hanno conosciuto momenti di intensissima frequentazione umana. A parte le tradizionali attività legate alla pastorizia e alla selvicoltura, le vallate orobiche, e quindi anche quelle descritte nel nostro itinerario, sono state, fino al secolo scorso, un importante polo minerario per l'estrazione del ferro. Le rocce di queste antiche montagne sono, infatti, molto ricche di siderite e altri minerali ferrosi. Tutto il territorio è costellato da vecchie mulattiere ormai, spesso, quasi irriconoscibili, dai ruderi di forni per la cottura del materiale grezzo, dai segni di una vivace attività che non conosceva i limiti naturali imposti dall'orografia e si sviluppava sui due versanti delle Orobie. Le prime notizie certe legate all'estrazione del ferro in Val Venina riportano al 1300, epoca in cui le cronache parlano di un grande forno fusorio esistente a Vedello. La presenza fra queste selvagge vallate di notevoli paesi, come Agneda e Ambria, è giustificata principalmente dalla fiorente attività legata all'estrazione e alla lavorazione del ferro che qui si conduceva.
L'estrazione del minerale ferroso cominciò a diventare economicamente poco redditizia a partire dal XIX secolo per interrompersi definitivamente alle soglie del secolo scorso. Per qualche tempo queste valli conobbero la pace, ma anche abbandono. Si pensi ad esempio che nel 1800 vivevano in Agneda sette famiglie contro le cinquantanove ivi residenti nel 1589.
Nel 1915 la società Falck iniziava un imponente progetto che prevedeva la realizzazione di una serie di bacini idroelettrici nelle valli Livrio, Venina e Scais. Si tratta di opere di notevole importanza e, ancor oggi, di grande valore tecnico, in considerazione delle difficoltà che si dovettero superare fra questi aspri monti. Inoltre, tutto il sistema di bacini è collegato da una serie di decauvilles che si sviluppa nel sottosuolo per molti chilometri. Conclusa anche la parentesi dello sfruttamento idroelettrico, sembrava che nulla potesse più disturbare la quiete tornata un'altra volta fra i monti. Invece, negli anni '60 del 900, sulla base di promettenti rilievi geologici, la società AGIP diede il via ad un tentativo piuttosto avanzato per l'estrazione di materiale radioattivo alle falde della Cima Soliva. Le infrastrutture realizzate sono oggi un punto di riferimento per i nostri percorsi, ma non sono più in funzione.