Lasciata l'auto presso l'imbocco della stradina per la Madonna delle Grazie o appena dopo il suo imbocco, si prosegue lungo la carrareccia inizialmente asfaltata che, lambendo diverse cascine porta, con belle visuali sulla vallata, presso il sagrato della chiesetta.
Il tracciato prosegue ora sterrato, ci troviamo sulla Via Priula che punta quasi pianeggiante in direzione Sud verso la testa della valle che si divide in ben cinque rami secondari di cui i maggiori sono divisi dal Dosso della Motta, al cui margine inferiore sorge lo splendido nucleo di cascine con chiesetta del Dosso Chierico. Purtroppo un orrendo elettrodotto ne sfrutta il crinale deturpando un paesaggio che altrimenti sarebbe fra i più belli della Valle di Albaredo. La strada intanto inizia a scendere lentamente ed i un ambiente cupo e boscoso si porta all'imbocco della piccola Valle di Lago che scende da sinistra. Una serie di spettacolari tornantini permette di portarsi nell'ombroso e stretto fondovalle da dove si prosegue nell'abetaia fino all'alto ponte in pietra gettato sul torrente della Val Pedena. Prima del ponte, una vecchia sega a mano ancora inserita nel legno, ci mostra come anticamente si dividevano i tronchi. Varcato il torrente, la strada prende a salire raggiungendo in breve le case del Dosso Chierico e, dopo una fonte, una serie di cartelli escursionistici.
Abbandoniamo dunque la Via Priula per seguire verso destra una stradina sterrata che scende a mezza costa e ben presto rientra nel bosco. Con piacevole passeggiata, sempre in leggera discesa ci spingiamo sempre più verso la testata principale della Valle del Bitto di Albaredo. In corrispondenza di un'altra palina con cartelli indicatori si abbandona la stradina per imboccare un sentiero sulla sinistra e proseguire la marcia a mezza costa lambendo il dossello panoramico sulla spumeggiante cascata del Roggio e l'ubertoso angolino ove sgorga la Fonte della Contessa. Il cammino sbuca infine sui prati del fondovalle ove confluiscono diversi torrentelli; si devia a destra (indicazioni) e abbassandosi leggermente si traversa il rio principale grazie ad un ponte fatto con lastroni di pietra. Si percorre la riva destra (salendo) del torrente per poche decine di metri e seguendo poi la vaga traccia sul pascolo sassoso si sale verso destra finché dopo una serie di tornantini su terreno sconnesso ci troviamo quasi alla base del gigantesco abete che dall'alto ha sorvegliato la parte finale del nostro avvicinamento. Da qui sentiero prosegue alla volta della sovrastante Alpe di Vesenda ancor oggi sfruttata come pascolo da una simpatica coppia di alpigiani.
Già in altre occasioni Trekking vi ha portato a vedere alberi monumentali: siamo stati al gigantesco "Rogolone" nella valle di Menaggio, siamo passati accanto al secolare castagno di Bedognolo posto a lato del sentiero che collega Grosotto con San Giacomo in Val Grosina e abbiamo sfiorato il "Centun", altro patriarca dei castagni che, sebbene piegato dagli anni, resiste caparbiamente poco sotto il paese di Monastero.
All'elenco delle grandi piante monumentali non poteva mancare anche una conifera e così siamo andati a vedere l'Avezz de Uüesenda o Avezz di Vesenda, in italiano l'Abete di Vesenda, imponente abete bianco che sopravvive accanto ad un suo simile, che purtroppo ha recentemente perso la cima, sulla sinistra orografica della Valle del Bitto di Albaredo.
Sono posti magnifici. Ripidi costoni ammantati di scure abetaie, movimentati da speroni e vallecole secondarie, determinano i due versanti della valle. Ovunque, il verde scuro dei boschi è interrotto dai toni più chiari e brillanti dei maggenghi punteggiati dalle baite, segno della secolare attività dell'uomo. La Valle del Bitto di Albaredo deve la sua particolare importanza alla presenza dell'unica strada carrozzabile decente che unisce la Valtellina con la Bergamasca passando attraverso il Passo di San Marco. Il nome del valico ci riporta al Medioevo, quando lo spartiacque orobico era confine fra la Repubblica di Venezia a Sud ed i Grigioni che allora dominavano la Valtellina. Già allora, dal valico transitava la "Via Priula", strada fatta costruire sul finire del '500 dal Podestà di Bergamo, Alvise Priuli, per favorire i transiti e i commerci fra la Repubblica di Venezia, la Valtellina, e la Mitteleuropa.
La prima parte della gita si svolge sul tracciato di questa via storica che sarà tema di un'altra futura gita: questa volta il nostro obiettivo e il gigante che sorge poco sotto l'Alpe di Vesenda prendendone il nome. Però è interessante notare che quello che oggi è un colosso vegetale era appena un fuscello quando le prime comitive di mercanti e pellegrini percorrevano la vicina strada veneta.
Oggi l'Avezz de Uüesenda svetta nel bosco con un'altezza di quasi 39 metri e ha una circonferenza di quasi sei metri. Sembra la colonna di un tempio dalla quale si dipartono alcuni rami secondari bizzarramente piegati ad angolo retto che ne fanno somigliare la base ad un candelabro. Ciò che colpisce è che questi "rami" potrebbero essere a loro volta delle vere e proprie piante. Sulla branca di sinistra a circa metà del tratto orizzontale si è poi sviluppata una nuova cima che sale dritta come un fuso, dando l'impressione che un'altra pianta sia scaturita del secolare legno.
Purtroppo, come tutti gli organismi viventi anche, la grande pianta sta subendo gli effetti dell'invecchiamento, con conseguente e naturale deperimento fisiologico irreversibile. Tale stato, potrebbe essere o meno aggravato da grandi nevicate, periodi siccitosi ed altri eventi atmosferici che potrebbero accelerarlo e, magari, favorire l'attacco di parassiti. Per questo sono stati praticati alcuni interventi di potatura onde alleggerire ed arieggiare la chioma, ma non è bastato e per una maggiore sicurezza sembra che si dovrebbero sostenere i rami più grossi mediante l'uso di cavi d'acciaio. In tal modo si conserverebbe l'integrità strutturale del monumento verde e forse se ne allungherebbe la vita, anche se gli alpigiani di Vesenda la pensano in maniera completamente diversa e alle nostre domande hanno risposto che se si fosse lasciato fare alla natura tutto si sarebbe aggiustato per il meglio. Comunque sia, niente paura, l'abete ha ancora una lunga vita, anzi, quando siamo andati ha trovarlo, ci ha mostrato un aspetto tutto sommato vigoroso e florido.
Ma oltre che forte e potente, questo vecchio abete deve essere stato molto, ma molto fortunato. Già a partire dal 1392, infatti, nei suoi pressi erano attivi dei forni per la cottura del materiale ferroso estratto in zona. In una relazione al Senato veneto, sono descritti così: "...il forno è un vaso murato di pietre coperto, fabbricato sopra qualche seriola d'acqua che con quella i mantici grandi accendino et mantenghino il foco et con la forza di quello sottoposto si separa il ferro dalla terra, la terra torna a congelarsi in lota, et il ferro si unisce da se stesso indurendosi, che poi indurito si porta alle fusine, a farsi in azzali, et a lavorarsi il ferro."
Ovviamente tale attività industriale portò alla progressiva deforestazione della vallata ed è quindi un vero miracolo se oggi possiamo ammirare questa meraviglia della natura che sorge a 1350 metri di altitudine.