L'itinerario si articola in tre tappe principali scandite dalla salita che dal fondovalle valtellinese terminerà a Monastero.
La prima frazione che s'incontra sul percorso e che merita una sosta obbligata è quella di Maroggia.
Situato su un grosso sperone arrotondato, di natura morenica, tra la valle del torrente Làresa, a occidente, e la Val d'Orta, a oriente, è un nucleo rurale molto caratteristico e antico. Maroggia è, infatti, sorto intorno all'anno mille come nucleo di viticoltori. Il piccolo borgo sorge in posizione dominante e nascosta, nel cuore della zona viticola da poco eletta a Denominazione d'origine Controllata.
Probabilmente la frazione sorse qui sia per la vicinanza alle coltivazioni e sia per sfuggire alle umide e insalubri condizioni climatiche del fondovalle. Situato ad una quota di 498 metri, il paese si sviluppa quasi totalmente sul fianco orientale dello sperone morenico. Giunti nella piazza principale, s'incontra la chiesa di Santa Margherita, edificata fra il 1685 e il 1698, e consacrata nel 1703. La sua struttura si traduce in forme semplici ed eleganti. Al suo interno un singolo altare e una tela raffigurante La Vergine col Bambino incoronata dagli angeli e con S. Margherita tra due Santi. A destra della facciata della chiesetta, un ripido vicolo conduce al cuore del paese. Una continua fila di edifici, dall'architettura asciutta ed essenziale, s'allinea a formare quasi un singolo blocco. Le mura delle case, realizzate con pietre dai colori cupi ma caldi, si presentano prive d'intonaci e talora annerite, sia dal tempo, sia da qualche antico fuoco. Diverse sono le case in via di recupero e restauro. Sul lato opposto della Val d'Orta, semi sommersa dalla vegetazione, affiora, desolata, la Casa dei Lupi, una costruzione di età precedente al 1400 e di notevole interesse storico.
Nel 1460, infatti, la famiglia Lupi ebbe l'onore di ospitarvi S. Benigno de' Medici, il quale, nella sua itinerante opera terrena, spesso si trovava a transitare per questi luoghi.
Gli storici vollero che fosse proprio l'ospitalità dei Lupi ed il singolare gusto del vino Maroggia, a spingere il Santo a stabilirsi, in un secondo tempo, in questa piccola parrocchia.
A monte della chiesa di Maroggia sorge l'imponente edificio scolastico, costruito in periodi di più elevata natalità e ormai in disuso da più di vent'anni.
Tornati sulla strada comunale, si prosegue per circa un chilometro, sino alla frazione Piasc. Il nome di questo luogo spicca, reso in un idioma più consono alla toponomastica italiana, su un grosso cartello bianco recante la scritta Piasci.
Anche questo nucleo vanta una storia antichissima. Tra le sue costruzioni, la prima che si presenta al nostro sguardo, un fienile dalla facciata alta e imponente, risale al milleduecento. Alla sua destra, al bordo di un piccolo piazzale, giace inclinato, un singolare e imponente castagno secolare: il Centun (Centone). In realtà il nome non rende giustizia all'età di questo monumentale castagno. Infatti, il Centun, inserito a pieno diritto nel catasto delle piante secolari della provincia di Sondrio, di anni ne ha più di seicento!
Testimone incontestato della storia di questi luoghi, il castagno ha, da generazioni, costituito un gioco per i bambini che, raggiunta la sua sommità, si lasciavano scivolare lungo il suo gigantesco tronco inclinato a quarantacinque gradi.
La località Piasc, pare non sia mai stata abitata nelle epoche passate. Le costruzioni servivano, infatti, per la produzione del tipico vino Maroggia, una specialità enologica di produzione ormai limitata e, come già accennato, da poco insignita del marchio DOCG.
Passeggiando tra le case di questo minuscolo nucleo nei giorni successivi alla vendemmia, sarà facile avvertire l'odore acre e forte del mosto che fermenta nei tini e dalle cantine risale invadente fin alle narici del visitatore.
Dai Piasc si prosegue lungo la strada asfaltata che prende quota con qualche curva. Proprio sopra le case più alte dei Piasc parte una stretta mulattiera che, attraversando i vigneti, conduce a Monastero. Lungo questa antica stradicciola è possibile, in alcuni tratti, osservare una particolare forma di pavimentazione: il risc. Si tratta di una forma di lastricatura con ciottoli arrotondati che nei secoli passati ha costituito l'unico sistema di rivestimento dei fondi stradali, finalizzato alla salvaguardia e al mantenimento degli stessi. Proseguendo invece più comodamente in auto lungo la strada comunale, dopo un paio di chilometri si giunge a Monastero. Una volta entrati nel paese si imbocca la Via Maroggia che conduce alla chiesa parrocchiale di S. Benigno o S. Bello. Prima di descrivere le caratteristiche di questo edificio, è necessario ricordare un ulteriore aneddoto su questo santo. San Bello è l'appellativo popolare che la gente del posto dava a San Benigno, al secolo Benigno de' Medici, a causa del suo bell'aspetto.
La chiesa parrocchiale, con la facciata rivolta verso Ovest, costruita su disegno dell'architetto Giovanni Panzera della Valmaggia, in un periodo successivo al 1765, ha una facciata semplice ed elegante con un portale barocco dal timpano spezzato. Sempre sulla facciata, essa reca due lapidi settecentesche. Su quella di sinistra si ricorda che il "famulus Christi Benignus abbas Assoviuni" riposò, dal 1472, nel tempio preesistente.
La storia religiosa di Monastero è una delle più antiche della Valtellina. Nel 1292 i fratelli Ricci di Maroggia, vi fecero costruire una chiesa intitolandola a San Bernardo da Mentone: l'edificio doveva sorgere più a occidente di quello presente. In seguito vi si stabilirono dei monaci Benedettini che eressero una badia, dando al luogo il nome di Assoviuno. I frati, provenienti dalla Valchiavenna, giunsero sul posto per intraprendere opere di bonifica e terrazzamento dei versanti.
Oggi il monastero benedettino è diventato una villa privata ed è possibile vederne solo qualche scorcio rubato dalle mura del cortile. L'antica costruzione è situata in fondo alla Via Civetta, addossata ad altri vecchi edifici rurali la cui unità architettonica è spezzata ogni tanto da qualche sprazzo di modernità.
Un tempo Monastero constava di tre sole contrade: la Civetta, dove, come accennato, sorgono i resti del monastero; Oriolo, situato sotto la chiesa a ridiscendere in direzione Maroggia e la Motta, corrispondente al gruppo di case situato a monte della chiesa parrocchiale. Col tempo e con l'abusivismo edilizio, queste tre contrade si sono amalgamate in un tutt'uno ed è così possibile trovare, a ridosso di rustiche costruzioni, vecchie di almeno mezzo millennio, modernissime case di villeggiatura.
Ma a Monastero sacro e profano non si fondono solo nelle caratteristiche architettoniche: il 12 febbraio ricorre la festività di San Bello. L'usanza popolare vuole che si celebri la festa consumando un piatto semplice e casereccio: la gallina lessa col riso bollito. Oggi questa antica tradizione è stata un po' modificata per renderla sempre più un motivo di richiamo turistico. Negli anni la festa è divenuta una vera e propria attrattiva che dura ben quattro giorni. Probabilmente, per soddisfare le centinaia di "coperti" che giornalmente sono serviti presso la tensostruttura che ospita la mensa dei convenuti, non basterebbero le galline di mezza Valtellina. Per questo il piatto originario della tradizione viene integrato con altre prelibatezze locali.
Dalla Via Civetta, che avevamo imboccato per visitare il monastero, si sale brevemente fino a raggiungere la Via Panoramica che, verso destra, porta a Regoledo e a Berbenno. Oltrepassato il cimitero di Monastero ben presto arriviamo ad incontrare il Santuario di Santa Apollonia. Una grossa statua della Santa reca in mano un paio di pinze: oggetto del martirio che la privò della vista Ci troviamo ora al limite dei boschi che delimitano superiormente il paese. Alberi di castagno, fratelli minori del Centun, osservano silenziosi le case e ci indicano che la nostra escursione volge ora al termine.
Possiamo, quindi, tornare sui nostri passi lungo la Via Panoramica sino alle scuole e percorrere a ritroso la via di salita, attraverso la Via Maroggia e i vitigni dei Piasc. Soffermandoci a riflettere su quanto visto nella giornata riaffioreranno preziosi elementi della storia di questi luoghi e della Valtellina.
Nei mesi autunnali ed invernali, quando l'accorciarsi delle giornate rende poco piacevole andare a fare quattro passi, un certo torpore ci relega in casa a poltrire, magari di fronte a un bel camino. In effetti il fondovalle valtellinese, lascia ben poche speranze a coloro che in un pomeriggio invernale, magari dopo un lauto pasto, volessero sgranchirsi le gambe curiosando tra i resti e le testimonianze della storia valligiana: il clima è quasi ovunque severo! Sfugge, come sempre, a questa condizione il versante retico che, seppure per poche ore, resta ben soleggiato ed invitante.
Saliamo ancora una volta fra i vigneti e le selve di questa ridente sponda e dedichiamo la nostra attenzione al settore che fa quasi da confine fra la bassa e la media Valtellina. In particolare vogliamo farVi conoscere le frazioni di Maroggia e di Monastero, dove anche nelle giornate più corte dell'anno, il sole riesce a riscaldare e ad illuminare non solo i luoghi, ma anche i nostri cuori.
Da lassù, volgendo uno sguardo verso l'ombra del fondovalle ed i prati imbiancati da un sottile strato di brina, il tepore dei raggi solari si farà più gradevole e renderà più amena la nostra escursione.