Primo giorno: Lasciata l'auto al termine del pianoro successivo l'abitato di Agneda, si sale per la ripida carrozzabile e pco prima del muraglione della diga di Scais grazie a un ponticello traversiamo a sinistra passando la sugegstiva goletta del torrente Caronno (segnavia rosso-bianco-rosso n°251) e proseguiamo sul marcato sentiero fino alla casa dei custodi della Diga di Scais 1484 m. Si prosegue ora sulla stradina che percorre la sponda orientale del lago fino nei pressi di una grande casa (Case Scais) prima della quale si prende un sentiero che sale verso sinistra e prosegue in un alternarsi di bosco e radura fino al pianoro dell'Alpe Caronno. Oltre il pianoro, il sentiero, ben segnalato, sale con molti tornanti un dossone boscoso e sbuca sui pascoli che precedono il rifugio che in breve si raggiunge.
Secondo giorno: Dal rifugio, prendere la buona traccia che, quasi pianeggiante, si addentra in direzione Sud-est, entrando nel vallone morenico occupato, in alto, dalla Vedretta di Porola. Raggiunto il greto del torrente originato dal ghiacciaio si prosegue puntando verso il largo basamento della rocciosa cresta Nord-ovest della Punta Scais (Torrione di Scais). Scavalcata verso destra la morena che divide il bacino della Vedretta di Porola da quello della Vedretta di Scais, si prosegue per rottami nel vallone di quest'ultima, rinserrato fra i versanti meridionali della Punta Scais a sinistra, e quello settentrionale del Pizzo della Brunone a destra. Messo piede sul ghiacciaietto, lo si rimonta (qualche crepaccio) fino ai piedi di una ripida impennata quasi al termine dello stesso.
Prima del risalto del ghiacciaio, volgere a sinistra e risalire, su chiazze nevose e rottami, il versante Sud-ovest della Punta Scais, puntando alla base di quello più a destra dei tre canali che lo incidono. Questo canale, in alto stretto a camino per un breve tratto, sbuca al profondo intaglio della cresta Sud della Punta Scais, fra la vetta a sinistra ed il Torrione Curò a destra. Percorrendo ora il crinale della cresta verso sinistra si supera una placchetta (passo di IV) e si giunge in vetta.
Per la discesa, è consigliabile effettuare tre brevi corde doppie da 20 m, su ancoraggi già esistenti lungo l'itinerario di salita.
Ogni tanto Trekking offre ai suoi lettori una piccola ascensione, un percorso un po' più difficile del solito, tanto per accontentare anche gli amanti dell'alpinismo facile. Questa volta l'ascensione proposta ci porta su una delle sole tre vette orobiche a superare i 3000 metri, la Punta di Scais. La gita potrebbe essere effettuata in un sol giorno da alpinisti allenati e veloci nelle manovre; tuttavia la presenza lungo il tragitto del graziosissimo rifugio dedicato a Luigi Mambretti ed appartenente alla Sezione di Sondrio del CAI, consiglia di spezzare la salita con pernottamento al Mambretti. Il piccolo edificio, non custodito, sorge in posizione veramente panoramica e in un ambiente tanto grandioso quanto solitario e romantico da non aver nulla d invidiare alle vicine Alpi.
Queste aspre cime e le loro creste accidentate sono generalmente formate da rocce di tipo arenaceo che in genere sono poco solide, tuttavia a partire proprio dalla Punta di Scais e procedendo verso occidente la qualità della roccia migliora consentendo un'arrampicata sicura e divertente. Non per nulla, proprio sulla Punta di Scais giunge la più rinomata e classica cresta delle Orobie Valtellinesi, salita da Alfredo Corti, il maggior esploratore di questi monti ed a lui dedicata. Si tratta di un'ascensione di tutto rispetto, forse ancor più impegnativa dell'ormai inflazionato spigolo Nord del Pizzo Badile, ma ben pochi lo sanno.
La porzione basale della Cresta Corti è formata da un possente torrione, che sembra una cima a sé stante, il Torrione di Scais ai cui lati si addentrano due stretti valloni occupati da due minuscoli e selvaggi ghiacciai, la Vedretta di Porola a sinistra e la Vedretta di Scais a destra, apparati glaciali che per la loro conformazione stretta e ripida sono detti di tipo pirenaico.
La cima della Punta di Scais è celata da quella del Torrione omonimo e la montagna sembra quasi più piccola di altre vette che, per effetto prospettico, appaiono più alte: il Pizzo della Brunone a destra, il Pizzo Porola ed in particolare la Cima di Caronno ed il Pizzo Scotes a sinistra.
L'ascensione alla cima, comporta dunque il superamento del ghiacciaio di Scais, a stagione avanzata abbastanza crepacciato e sempre ripido. Occorre, pertanto, poter disporre dell'attrezzatura adeguata, corda, piccozza, ramponi, qualche chiodo da ghiaccio e cordino. Il tratto finale alla vetta si svolge su roccia, sfruttando uno dei tre canali-camino che solcano la parte Ovest della montagna. Come sempre vogliamo ricordarvi la massima prudenza e la migliore scelta del periodo e delle strategie di scalata anche se si tratta di una facile ascensione.
In particolar modo partite presto e tornate presto, questo anche perché vi muoverete in parte su terreno glaciale, meglio assestato col freddo; e poi evitate di affrontare l'ascensione con tempo incerto o in cattive condizioni fisiche. A occidente della cima, sempre a chiudere in alto il vallone della Vedretta di Scais, si trova un'altra cima che supera i 3000 metri, il Pizzo Redorta.
Sul finire del 1800 queste cime furono il regno della guida alpina Giovanni Bonomi uno dei più rinomati professionisti dell'epoca in Lombardia. Alla sua figura abbiamo dedicato l'apposita scheda.
Assieme ad Antonio Baroni di Sussia, Giovanni Andrea Bonomi di Agneda fu una delle maggiori guide espresse dal territorio orobico e la migliore del versante valtellinese. Bonomi dovette la sua fortuna professionale a Bruno Galli Valerio ma, anche quando si staccò dal suo cliente preferito, seppe proseguire con successo.
Quasi tutta l'attività di questa guida si svolse fra le sue montagne: raramente ebbe modo di esprimersi al di fuori delle Orobie, ma, quando lo fece, si comportò sempre in maniera eccellente.
Nell'estate del 1895, con Bruno Galli Valerio, Bonomi uscì dalle sue valli per tentare il Bernina: si trattava per entrambi del primo contatto con le grandi altezze. La notevole quantità di neve sconsigliò una salita diretta lungo la via normale, s'avventurarono quindi sulle Vedrette di Fellaria per raggiungere la Spalla del Bernina attraverso la Forcola di Bellavista.Purtroppo sbagliarono valico raggiungendo la Forcola settentrionale dello Zupò; era ormai tardi e dovettero "consolarsi" con la salita al vicino Pizzo Argent.
Tentarono quindi di scendere sul versante elvetico, per portarsi a Pontresina, ma si perdettero fra i crepacci del Labyrinth. Nel frattempo si erano fatte le 4 del pomeriggio, e occorreva prendere una rapida decisione per evitare il bivacco. Bonomi non esitò: "rimonteremo tutto il ghiacciaio, raggiungeremo la forcola di Cresta Aguzza e per di là scenderemo alla capanna." Cominciarono quindi la penosa risalita sotto il sole pomeridiano, mettendo piede sul ghiacciaio di Scerscen. Alle 9 di sera, 17 ore dopo la partenza, rientravano alla Capanna Marinelli.
Nel 1896, Giovanni Bonomi fu la guida del famoso principe Scipione Borghese, che l'anno successivo avrebbe scalato l'impressionante parete Nord del Cengalo accompagnato da guide engadinesi e che nel 1907 vinse il Raid automobilistico Pechino-Parigi. I due portarono a termine nello stesso giorno le salite dello Scais e del Redorta. Successivamente pare che Bonomi abbia seguito il nobiluomo anche in una campagna esplorativa sul Monte Baldo, ma mancano notizie precise.
Nel 1898, la guida di Agneda fu scelta da Galli Valerio per dare maggior sicurezza ad alcune comitive autonome pronte a cimentarsi con il Pizzo Badile e con il vicino Cengalo. Salito il Badile fu la volta del Cengalo, sotto la cui parete gli alpinisti pensarono ad una nuova via: "Questa parete però presentava delle fessure e Bonomi dopo essersi avvicinato un po' di più per osservarla con il binocolo esclamò tutto contento, passeremo! &quando il Bonomi dice che si passa si è sicuri di passare: è sufficiente non aver paura ed eseguire esattamente i suoi ordini".
Dopo questa esperienza, Bonomi guidò ancora clienti più o meno celebri, fra cui il notissimo dottor Vittorio Ronchetti sullo Scais e Redorta. Dal breve racconto del Ronchetti apprendiamo che, probabilmente già dal 1893, il Bonomi aveva fissato una corda nel canalino della via Baroni allo Scais.
Molte guide ricorrevano a questo e ad altri espedienti simili, per preparare le vie ad accogliere clienti dalle diverse capacità e per tentare di ovviare alle difficoltà eccessive. L'alpinista milanese valutò anche le possibilità di salita del canale centrale dei tre che solcano la parete dello Scais e che il Bonomi salirà poi nel 1899, anno in cui, ancora con il Valerio, compì un nuovo tentativo al Bernina che per poco non si concluse in tragedia. Due anni dopo, quegli stessi monti colpirono ancora la guida di Agneda, coinvolta nell'incidente occorso a Giuseppe Gugelloni sul Pizzo Roseg e descritto nel capitolo del Soccorso alpino.
Queste disavventure non impedirono al Bonomi di proseguire in un'intensa carriera, limitata solo dalla sua infelice località di residenza. Egli resta una guida leggendaria le cui orme furono seguite per qualche anno anche dal figlio Bortolo. Ma le Orobie divennero sempre più terreno di scarso richiamo e di conseguenza i clienti diminuirono, tanto che, alla fine, per Bortolo fu necessario trovare altre occupazioni.